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di Santino Gaudio*

Il Domani, 15 agosto 2024

Solo in Italia sono quasi 800 i detenuti in attesa di un ricovero in strutture sanitarie. Significa che un alto numero di persone tarda ad avere un adeguato trattamento psichiatrico, sebbene riconosciuto come necessario da un giudice. Quando si parla di salute mentale dei detenuti pare che l’attenzione di noi tutti si attenui, come se si parlasse di un mondo che non ci appartiene. Una è la convinzione sedimentata nella coscienza comune che può spiegarci la scarsa empatia verso chi ha commesso un reato e paga per questo: in Italia non esiste la certezza della pena. Sebbene non possiamo dimenticare che questa condizione possa essere reale, dovremmo guardare oltre per provare a comprendere quanto la vita carceraria possa influire sullo stato emotivo dei detenuti.

Il primo dato da cui partire è rappresento da una più alta percentuale di disturbi mentali nella popolazione carceraria rispetto alla popolazione generale (white paper del Consiglio d’Europa, 2022). Nei paesi dell’Unione europea la prevalenza dei disturbi mentali nelle carceri varia sensibilmente con una mediana che si attesta al 18 per cento. Sono diversi i fattori che possono determinare la presenza di una più alta percentuale di disagio mentale nei detenuti: dallo stato di povertà, all’uso di droga (tema che richiederebbe un articolo a sé). A peggiorare la condizione mentale dei carcerati hanno un ruolo chiave il sovraffollamento, le varie forme di violenza e la ridotta possibilità di accesso alle cure mediche ed in particolare a cure psichiatriche. L’ultimo report dell’Organizzazione mondiale della sanità ci dice che i disturbi mentali nella popolazione carceraria vanno dai disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare) alla schizofrenia. Non dobbiamo neanche dimenticare che l’Oms riconosce un impatto importante della carcerazione in sé sullo stato mentale dell’individuo.

Il primo grande problema del quale è stato scritto e riscritto è il sovraffollamento carcerario. Un problema decennale per il quale l’unica soluzione adottata è stata negli anni l’utilizzo dell’indulto. A questo si aggiunge la limitata disponibilità di cure psichiatriche. Un dato su tutti: per quanto riportato dal sito ristretti.org (che monitora quanto avviene nelle carceri) sono quasi 800 i detenuti che attendono di essere ricoverati in una Rems (le Rems sono i luoghi dove i detenuti affetti da disturbi mentali vengono accolti dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari avvenuta nel 2013). Questo vuol dire che un alto numero di detenuti tarda ad avere un adeguato trattamento psichiatrico, sebbene riconosciuto come necessario da un giudice. È partendo da questi dati che possiamo provare a meglio comprendere il triste numero di suicidi che si registra nelle nostre carceri: nel 2023 sono stati 69 (fonte ristretti.org).

Sempre consultando ristretti.org, all’8 agosto del 2024 sono già 66 i detenuti che si sono tolti la vita. Se dovesse proseguire questo trend, a fine anno si potrebbe arrivare a più i 103 vite perse. Un numero che sarebbe quasi doppio rispetto all’anno precedente. È chiaro a tutti che il problema della salute mentale nelle carceri è strutturale e riguarda l’intera Europa (se vogliamo fermarci al nostro continente), pur esistendo linee guida che tutti i paesi dell’Unione dovrebbero seguire (Withe paper of Counsil of Europe). L’attuale situazione Italiana non è figlia di questo o quel governo ma, di una ridotta attenzione alle condizioni dei detenuti che possiamo definire “storica”. Eppure le carceri dovrebbero essere luoghi dove provare a sostenere il recupero personale e sociale del detenuto, oltre che i luoghi dove si sconta la pena per i reati commessi (articolo 27 della nostra costituzione). Per concludere, i suicidi sono solo la punta di un iceberg, rappresentato dall’elevato numero di detenuti con patologie psichiatriche che necessiterebbero di cure adeguate.

La domanda che dovremmo porci è: quanti dei detenuti che si sono tolti la vita erano in lista di attesa per l’ingresso in una Rems? Altrimenti, quello che rimane è la cruda conta dei suicidi in carcere. Come ho scritto in apertura, in Italia si tende a rimuovere il pensiero della sofferenza psichiatrica in carcere con l’idea che non esiste la certezza della pena. In questo modo si dimentica che una pena scontata senza cure è una condanna accessoria e iniqua. Credo sia necessario che tutte le forze politiche debbano mettere insieme due punti di buon senso: certezza della pena e certezza della cura.

*Psichiatra