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di Mattia Feltri

huffingtonpost.it, 5 febbraio 2023

Ci chiedevamo quanto il garantista Nordio avrebbe contaminato un governo giustizialista, ma per il momento il governo giustizialista si è ingoiato il garantista Nordio. Così non abbiamo più il Nordio pensatore e non abbiamo ancora il Nordio ministro.

Credo sia un obbligo per noi sostenitori dell’applicazione costituzionale agli affari di giustizia - non dico noi garantisti sennò qualcuno potrebbe sospettare un inchino ai mafiosi - confidare nonostante tutto nell’effetto benefico di Carlo Nordio su un governo filosoficamente cresciuto alla scuola di Alcatraz. Da tredici mesi, da quando Giorgia Meloni candidò Nordio alla successione di Sergio Mattarella, ci si chiede quali affinità elettive leghino la prima al secondo, e ancora più ce lo si chiede da quando la prima ha voluto il secondo al ministero della Giustizia, poiché storicamente sulle questioni penali dove lei dice sì lui dice no, e dove lei dice no lui dice sì.

Ma siccome non ci muoviamo con disinvoltura nell’ambito dell’esoterico, qui a Huffpost ci siamo limitati a domandarci come sarebbe andata la contaminazione culturale, e cioè quanto Nordio avrebbe indirizzato a sé la destra e quanto la destra avrebbe indirizzato Nordio a sé. Finora è andata come dovevamo immaginarci: poiché rappresenta una minoranza etnica, Nordio ha ricevuto un’accoglienza degna di un immigrato clandestino sbarcato a Lampedusa. Cioè un intruso, e non l’hanno ancora ributtato a mare per motivi di opportunità estetica, più o meno le stesse per le quali il governo della propaganda nazionalista e autarchica si rizza sull’attenti (per fortuna) al cospetto di ogni potere forte, dalla Nato all’Unione europea alla Bce ai mercati ex satanici. Però rimane a schiena diritta, con pochissime ragioni e molti torti, davanti ai poveracci, quelli del reddito di cittadinanza, delle carceri, dei barconi.

E il nostro Nordio - lo dico aggrappato a un pregiudizio positivo - procede in tradimento di sé stesso per encomiabile utilitarismo, poiché dopo di lui le cose potrebbero andare soltanto peggio: potrebbe piovere. Ma che cosa resta di Nordio in Nordio, dopo il suo sostegno alle pene di ispirazione iraniana agli organizzatori di rave party? Che cosa resta dopo il cedimento alla finta riforma dell’ergastolo ostativo, da lui definito soltanto poche settimane prima “un obbrobrio (…) in stridente conflitto con ogni principio umano e divino di giustizia”? Dopo aver difeso con imbarazzante goffaggine Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, mentre ancora rimbombavano le sue parole sulla “diffusione arbitraria delle intercettazioni”, che “non è civiltà né libertà” e contro la quale “sono pronto a battermi fino alle dimissioni?”.

E cioè, Donzelli e Delmastro, l’uno vicepresidente del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), l’altro sottosegretario alla Giustizia con delega al Dap (amministrazione penitenziaria), si consociano per diffondere intercettazioni - o trascrizioni, poco cambia - di chiacchiere afferrate in carcere fra l’anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss mafiosi, e le diffondono nel luogo pubblico per eccellenza, il Parlamento, e per dozzinali scopi politici, e la trovata per Nordio non rientra nella “diffusione arbitraria delle intercettazioni”, non la vive come una plateale e spudorata delegittimazione, architettata per di più da Delmastro, un suo diretto sottoposto. No, si mette a cavillare sulla natura delle intercettazioni, non “segretate” bensì “a diffusione limitata”, come se fosse meno grave, come se carte “a diffusione limitata” siano diffondibili in un dibattito parlamentare, che equivale a diffonderle al paese intero, anarchici e mafiosi compresi.

Vorrei anche indagare su come siano conciliabili le sue pregresse opinioni sul carcere (“la pena non deve essere crudele, deve rieducare il condannato”) con il regime carcerario riservato a Cospito, oppure se apprezzi il suddetto sottoposto, il sottosegretario Delmastro, che traduce in un inchino ai boss la visita in carcere a Cospito e ai suoi compagni di prigionia dei parlamentari del Pd, poiché Nordio esordì da ministro visitando Regina Coeli, e disse: “Non significa essere buonisti, ma applicare la Costituzione”.

Ma il panorama è già sufficientemente sgombro per vedere Nordio isolato e accerchiato, le opposizioni non gli hanno mai teso la mano per ragione sociale e tantomeno potrebbero tendergliela adesso, la maggioranza lo irride, lo scansa e nemmeno tanto lentamente lo piega a una costante abiura di fatto, la presidente del Consiglio tace fingendo di non vedere violazioni e contraddizioni, la magistratura stappa le migliori bottiglie al disarmo di un ministro sventolante il progetto di una riforma della giustizia che culmini addirittura con la separazione delle carriere, e per ora si è assistito soltanto alla separazione della lunga e nobile carriera del Nordio pensatore con la carriera del Nordio ministro. Così non abbiamo più il Nordio pensatore e ancora non abbiamo il Nordio ministro.