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di Franco Corleone

L’Espresso, 7 maggio 2023

Il regime detentivo viene usato per colpire la mafia. E prende derive incompatibili con la Costituzione. Alfredo Cospito, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha aperto alla rivalutazione della sua pena (l’ergastolo), ha interrotto il digiuno. È stata una prova di saggezza rispetto alle provocazioni del ministro Carlo Nordio, che ha contraddetto la sua pretesa concezione liberale del diritto, paventando interventi sanitari forzati.

Ma non va dimenticato che lo sciopero del cibo di Cospito rappresentava una denuncia contro le condizioni della detenzione prevista dal 41bis. Sarebbe davvero un segno di arroganza archiviare il caso, che per fortuna non si è concluso tragicamente, ignorando le ragioni della protesta. Altrettanto grave dal punto di vista politico e istituzionale, se anche il rapporto sul 41bis del Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma, fosse disatteso dall’Amministrazione penitenziaria, dal governo, dal Parlamento, dall’opinione pubblica.

Il rapporto offre in primo luogo un quadro esauriente circa le presenze. Le persone sottoposte al 41bis sono 740 (12 donne): 204 scontano l’ergastolo, mentre sei sono internate in misura di sicurezza in una pseudo casa lavoro; 35 sono detenute nelle cosiddette “aree riservate”, una sorta di 41bis al quadrato. Più importante, il rapporto argomenta sulle condizioni di detenzione, rilevando la non compatibilità di diverse situazioni con i principi costituzionali, sulla scia di quanto già stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale in base al principio per cui “le misure disposte non possono comunque violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità né vanificare la finalità rieducativa della pena”.

Diverse sono le condizioni assurdamente afflittive cui il Garante raccomanda di porre prontamente rimedio: dall’abolizione delle “aree riservate” alla insufficienza di aria e luce nelle celle, fino alla mancanza di corsi di istruzione e perfino di alfabetizzazione, alla censura dei giornali, alla violazione della privacy nelle visite mediche e altro ancora.

Vale la pena di chiarire le ragioni dello scivolamento di alcune condizioni del 41bis verso i trattamenti inumani e degradanti. Tale regime nasce con decreto legge nel 1992 come risposta temporanea ed emergenziale alle stragi mafiose, con lo scopo di impedire i collegamenti con i membri in libertà delle organizzazioni criminali, rompendo la catena di comando dal carcere.

Nel 2002 è diventato permanente (legge 279). La verità è che il dato simbolico - quello della pena “esemplare” propria di uno Stato “in lotta” con la criminalità organizzata - ha soverchiato la concreta finalità originaria. A riprova ci sono i casi in cui è stato confermato il regime speciale anche nei confronti di chi non aveva più alcuna capacità cognitiva, provocando la censura della Corte europea dei Diritti dell’uomo.

Il magistrato Sebastiano Ardita, a suo tempo responsabile del Dap per il trattamento dei detenuti, così riportava la sua impressione dopo una visita nelle sezioni del 41bis: “Quella misura, applicata alle persone, in realtà era rivolta contro la mafia”.

La Consulta ha messo in guardia da una deriva simile, precisando che il regime differenziato non può applicarsi a una categoria di detenuti, individuati a priori in base al titolo di reato (i mafiosi), ma a singoli individui sulla base di provvedimenti motivati.