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di Enrico Sbriglia*

L’Opinione, 9 maggio 2023

Oggi a Trieste è di un caldo che non disturba, sembra che per davvero stiano per iniziare le belle giornate che ci anticiperanno quelle della stagione estiva. Il cielo è terso ed il mare è quieto. Appena una piccola brezza. Lontano, dal molo Audace, scorgo le ciminiere dei cantieri di Monfalcone e più in là, le cime della Carnia.

Da quando sono andato in quiescenza l’estate mi fa meno paura; quando ancora lavoravo, soprattutto ai tempi in cui ero direttore di carcere, era quella la stagione più difficile, quella in cui davvero poteva accadere di tutto. Spesso nel linguaggio comune si indica la galera con la metafora “al fresco”, ma quanti la impiegano sbagliano di grosso se, quando la utilizzano, non distinguono l’estate dall’inverno: dimostrerebbero, infatti, che del mondo penitenziario sanno ben poco.

Questa riflessione mi consente di riesumare un mio vecchio articolo, che pubblicai tanti anni fa, ma che nella sostanza delle cose, purtroppo, rimane maledettamente attuale. Lo riporto, con qualche piccola modifica, per “L’Opinione delle Libertà”, nella speranza che da parte della premier Giorgia Meloni e del ministro Carlo Nordio, così come dal viceministro Francesco Paolo Sisto e dai due sottosegretari, Andrea Ostellari e Andrea Delmastro Delle Vedove, sia interpretato come un “alert” al quale dare attenzione; il titolo era “Perché i direttori amano la pioggia”:

Questa notte a Trieste, in un agosto che sembra fatto di fuoco gassoso, si è abbattuto un violento fortunale. Ha piovuto a dirotto, i fulmini erano fortissimi come lo scroscio della pioggia grossa, insistente, persistente, resistente; per me, direttore di un carcere costantemente sovraffollato, era musica deliziosa, era qualcosa tra lo swing ed un coro di angeli, era la melodia più dolce che potessi ascoltare. Vi confido una cosa che vi sorprenderà: i direttori penitenziari amano la pioggia, grassa e copiosa, amano la grandine e le tempeste, i fulmini che squarciano il cielo ed i tuoni potenti che fanno tremare le pareti di ferro e cemento, amano il cattivo tempo, ed il freddo specialmente…

In celle sovraffollate, soprattutto d’estate, dove si riescono a cogliere, senza neanche tendere le orecchie, i suoni del respiro e dei singhiozzi, e dei flati più indecenti degli occupanti la stanza, in quegli ambienti che sanno di tropici ma non di vacanze, dove il sudore si appiccica sulla pelle, così come intinge i succinti indumenti che i detenuti indossano per cercare di resistere alla calura, e dove l’unico rubinetto presente nella stanza deve placare sete e bisogno di acqua per rinfrescarsi e per le abluzioni di tutti gli occupanti, ancor di più in queste giornate di caldo umido ed insolente, l’abbattimento improvviso delle temperature, la pioggia che massaggia con forza i cortili dei passeggi, che scuote i tetti del carcere ed i mille percorsi interni ed esterni di un istituto, è un dono di Dio, come lo è per i beduini nel deserto in groppa ai loro provati cammelli…

Il ritorno, anche per una sola mezz’ora, ad una temperatura sopportabile, calma la persona detenuta, le permette di parlare con gli altri, di essere attento e prudente nelle cose che dice, ma anche nella sua gestualità, nelle sue reazioni. Quel regalo inaspettato consente al prigioniero di guardare con rinnovato interesse le sbiadite immagini che provengono da vecchi e gracchianti televisori, oppure gli dà la forza per continuare ad impegnarsi nel piccolo lavoro artigianale che sta curando e che, una volta terminato, donerà non si sa ancora a chi, forse a suo figlio quando verrà ai colloqui, forse alla sua donna o a sua madre, per farsi perdonare, forse allo stesso direttore solo perché una volta ha mostrato di ricordarsi il suo nome…

Anche per i poliziotti penitenziari la pioggia è benedetta: lavorano spesso in condizioni pietose, in ambienti privi di aria condizionata e dove la frescura viene ricercata “spalancando” tutte le finestre, che rimangono protette dalle pesanti sbarre, alla continua ricerca, al di là dei posti di servizio assegnati, di postazioni “altre”, dove si possa continuare a sorvegliare i detenuti, però usufruendo di un maggiore circolo d’aria.

Quando entrano nel mio ampio ufficio, dove il potente ventilatore senza mai fermarsi mi dona sprazzi di respiro, leggo e comprendo dai loro occhi una linea di invidia e non li biasimo: forse dovrei spegnerlo per mostrare maggiore solidarietà, ma non lo faccio, so che se dovessi sprofondare nel caldo non riuscirei neanche più a leggere la più semplice delle carte, tra quelle montagne di documenti che invadono la mia scrivania e che raccontano di persone e di reati; spero che mi perdonino e comprendano.

Intanto aspettiamo di vedere realizzato il “piano straordinario delle carceri” e noi tutti operatori penitenziari voliamo con la fantasia: immagino architetti di grido, Renzo Piano tra tutti, Richard Rogers, Dante Bini, Aldo Loris Rossi, Alessandro De Rossi, etc. che discettano sulle soluzioni innovative che propongono, vedo costruzioni bellissime e dai colori chiari, piene di aree verdi orizzontali e, come li chiamano adesso, di giardini verticali, e con fontane sgorganti, con postazioni dignitose per i “baschi blu” della polizia penitenziaria, con uffici gradevoli, chiari e luminosi, per il personale che al loro interno lavora finalmente sorridendo, dove i magistrati ben volentieri vengano in carcere per compiere gli atti giudiziari dai quali dipende la vita, la speranza e finanche la rivendicazione di altri.

Carceri nuove per uomini nuovi, sia che si tratti di detenuti o detenenti, carceri che non spaventino ma che spieghino il bisogno di legalità, che proteggano le persone, che le cambino, migliorandole. Carceri dove i detenuti barattano soltanto la loro libertà per i torti che hanno causato e non anche la dignità, che non è soltanto loro ma di tutta l’umanità; carceri dove i familiari incolpevoli delle persone detenute siano accolti con l’attenzione che merita ogni cittadino-utente che ha un rapporto con la pubblica amministrazione, dove il garbo, la pulizia, l’ordine e il valore del rispetto verso ogni persona compaiano in ogni anfratto dell’unico vero posto dove “comanda” ed impera soltanto, ed esclusivamente, lo Stato. Nel frattempo, mentre evado dal carcere, galoppando questi pensieri, mi godo la frescura della pioggia.

*Penitenziarista, presidente dell’Osservatorio Internazionale sulla Legalità di Trieste