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di Mario Iannucci*

Il Riformista, 17 febbraio 2024

Le cause dell’aumento dei suicidi nelle carceri sono naturalmente molteplici: in primo luogo c’è da considerare che il disagio psichico, ormai largamente diffuso anche nella popolazione generale, nelle carceri è enormemente aumentato negli ultimi decenni perché si tende a dargli sempre di più una risposta reclusiva. Il secondo motivo è il “ritiro” della salute mentale dagli istituti di pena. Perché la salute mentale non è soltanto uno psichiatra che viene in carcere tre volte a settimana per qualche ora.

La salute mentale è una complessa organizzazione di assistenza che ha a che vedere con l’interdisciplinarità e con l’inter-istituzionalità: sono coinvolti psicologi, educatori, assistenti sociali. La salute mentale si è invece largamente ritirata da questo settore: mentre la tossicodipendenza una qualche forma di collaborazione con la giustizia la stabilisce, la salute mentale no.

Questa tendenza a carcerizzare il disagio è comunque una “follia”, perché chi frequenta i penitenziari sa che in prigione è veramente molto difficile fornire un’autentica assistenza. E poi c’è da dire che, di fronte ad una presenza così consistente di disagio psichico nel settore penitenziario, non si possono trattare i prigionieri come se fossero tutti mafiosi pericolosissimi, bisogna fornire anche quegli elementi di “temperamento” delle condizioni di pena che sono indispensabili: le telefonate per esempio, ma anche relazioni affettive che siano gestite in un clima favorevole e rapporti più intensi col mondo esterno.

Il problema è che coloro che dovrebbero occuparsi della prevenzione degli atti di autolesionismo e dei suicidi in carcere, che sono soprattutto gli operatori della salute mentale, gli operatori civili che dovrebbero entrare in una collaborazione efficace, effettiva, durevole e costante con tutti gli altri operatori penitenziari, non lo fanno, dicono che il suicidio non è prevedibile, mentre invece quasi sempre lo è. Inoltre, se si mettono insieme, nella stessa cella, persone con un disagio psichico consistente, l’esito quale potrà essere? Oppure, qualora non tuteli a sufficienza e non ti interessi di un paziente che ha un consistente disagio psichico e lo ha manifestato attraverso minacce di suicidio o tentati suicidi, quale potrà essere l’esito? Ovviamente il suicidio, perché queste persone si sentono inascoltate, si sentono largamente inascoltate.

Lo ripeto, è prevedibile e prevenibile il suicidio, almeno per molti soggetti. Talora, anche se prevedibile, pur facendo di tutto non si riesce ad evitarlo. Certo ci sono persone che tendono a occultare il loro disagio, perché è stigmatizzante. Ma è diverso se tu invece aiuti queste persone a venire allo scoperto e a trovare un ascolto benevolo, a trovare delle soluzioni detentive che non necessariamente siano carcerarie.

Noi a Firenze, per esempio, abbiamo ideato e organizzato la prima struttura psichiatrica residenziale per pazienti autori di reati, e finché io ne sono stato responsabile abbiamo portato più di 120 persone con seri problemi psichici fuori dal carcere, dall’ospedale psichiatrico giudiziario e poi anche dalle REMS. E lo abbiamo fatto senza creare in 18 anni alcun problema di sicurezza all’esterno. Quindi si possono adottare soluzioni alternative, basta volerle e saperle gestire.

Molte di quelle persone che si suicidano hanno manifestato comportamenti reiterati che avrebbero dovuto far pensare che in futuro avrebbero adottato una soluzione autolesiva o suicidaria. Quante volte abbiamo assistito a comportamenti preoccupanti? Gli stessi operatori della Polizia penitenziaria denunciano un incremento notevolissimo di gesti di autolesionismo, loro stessi dicono che le carceri si stanno trasformando in delle grandi REMS. E non sono certo le Articolazioni di Tutela della Salute Mentale a poter porre rimedio al dilagante diffondersi del disagio psichico in carcere. È un disagio che si affronta incrementando enormemente il volontariato, facendo sì che il volontariato entri in una collaborazione effettiva con tutti gli operatori, con gli educatori, con gli assistenti sociali. Ci deve essere un impegno di tutta la società civile per far sì che il carcere intanto sia l’extrema ratio e poi affronti, là dove non è possibile evitare la carcerazione, le grandissime esigenze di coloro che vi entrano, che sono esigenze di salute, sociali, educative.

*Psichiatra e psicoterapeuta