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di Gian Luigi Gatta*

Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2022

La certezza della pena è sempre più spesso evocata nel dibattito pubblico sulla giustizia. Per la retorica populistica, altro non è che la certezza del carcere. Viene così travisato uno dei più nobili concetti del diritto penale liberale, al quale Cesare Beccaria, nel 1764, dedicò un fulminante paragrafo del suo “Dei delitti e delle pene”.

La “certezza ed infallibilità delle pene” è così spiegata dall’illuminato marchese: “uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità. La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione, che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza della impunità; perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre più gli animi umani”.

Bene hanno fatto allora gli ultimi due ministri della Giustizia, negli interventi con i quali hanno presentato al Parlamento le proprie linee programmatiche, a sottolineare che la certezza della pena non è la certezza del carcere.

Marta Cartabia indicò la via del “superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere”.

Carlo Nordio ha ribadito che “certezza e rapidità della pena non significano sempre e solo carcere” e che “per i reati minori... esistono sanzioni assai più efficaci di una detenzione puramente virtuale”, perché “è meglio la concreta esecuzione di una pena alternativa, che faccia comprendere al condannato il disvalore della sua condotta, piuttosto che la platonica irrogazione di una pena detentiva cui faccia seguito la sua immediata liberazione”.

Nel discorso della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pronunciato alla Camera in occasione del voto di fiducia, la certezza della pena sembra invece associata solo al carcere: “Lavoreremo per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una Nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri”. Cartabia e Nordio, due giuristi, si sono formati sulle pagine di Beccaria: certezza della pena è sinonimo di effettività; un concetto che prescinde dalla severità della sanzione.

Il carcere non è l’unica pena; la Costituzione, nell’articolo 27, parla, al plurale, di pene che devono tendere alla rieducazione del condannato. Le pene, anche il carcere ma non solo, devo essere “certe”, cioè effettive, e “pronte”, ossia tempestive, come diceva più di due secoli e mezzo fa Beccaria. Non un populista, ma il campione dell’illuminismo penale.

La minaccia della pena funziona, come controspinta all’azione criminale, non tanto per la severità delle conseguenze, ma per la percezione dell’effeffività e della prontezza della risposta punitiva. Un sistema efficiente, dove le pene, proporzionate alla gravità del fatto, non restano sulla carta, ma vengono inflitte quando si accertano le responsabilità, è il miglior deterrente nei confronti della criminalità. Non si tratta, allora, di invocare il carcere, più carcere.

Si tratta piuttosto, con una visione moderna e internazionale, di favorire le alternative al carcere per le pene di breve durata. Il 30% dei detenuti è condannato a pene non superiori a quattro anni. È provato che le alternative al carcere riducono i tassi di recidiva. Il carcere è l’università del crimine, dove il ladruncolo esce rapinatore fatto e finito.

Nell’interesse della sicurezza dei cittadini, la certezza della pena da invocare è allora non solo quella del carcere, ma anche delle sue alternative. La riforma Cartabia, seguendo una linea presente anche nel progetto di riforma del codice penale che porta il nome del ministro Nordio, e che risale al 2006, valorizza le pene sostitutive delle pene detentive brevi (semilibertà, detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità), applicabili dal giudice di cognizione.

Sono pene certe perché immediatamente esecutive dopo la condanna, che non lasciano “liberi sospesi”: condannati a piede libero, che si stimano oggi in numero non inferiore a 80mila.

Le alternative al carcere favoriscono la certezza della pena. Oltre 70mila persone scontano oggi la pena con misure alternative. Un numero maggiore di quello dei detenuti, che le carceri sovraffollate non potrebbero certo contenere. Chi ha davvero a cuore la certezza della pena deve allora investire sulle alternative al carcere. Fare il contrario significa, paradossalmente, favorire l’incertezza della pena.

*Ordinario di Diritto penale, Università degli studi Milano. Componente del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura