sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Irene Famà

La Stampa, 27 giugno 2023

Dopo una lunga battaglia, ieri la sentenza: 23 anni al teorico della Fai-Fri e 17 anni e 9 mesi ad Anna Beniamino. La procura generale di Torino aveva chiesto il fine pena mai. Niente ergastolo. Per l’attentato all’ex scuola carabinieri di Fossano, nel Cuneese, l’anarchico Alfredo Cospito è stato condannato a 23 anni di carcere. E Anna Beniamino, ex compagna nella vita e da sempre accanto a lui nella lotta allo Stato, a 17 anni e 9 mesi. Così ha deciso ieri la Corte d’assise d’appello di Torino chiamata a rideterminare la pena, dopo che la Cassazione, nel luglio 2022, aveva riqualificato il reato in strage politica. E per la strage, c’è un’unica condanna prevista: l’ergastolo. I giudici hanno applicato l’attenuante del fatto lieve. “Non ci sono stati morti e anche i danni furono minimi”, hanno sottolineato gli avvocati difensori Flavio Rossi Albertini e Gianluca Vitale. “Questa è una sentenza che ristabilisce l’equilibrio e la ragionevolezza”.

Cosa è successo - Il centro della complessa discussione giuridica sul caso Cospito è questo qui. Il contesto è il maxi processo Scripta Manent, nato da un’inchiesta della Digos per le attività dell’organizzazione terroristica Fai-Fri (Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale). Plichi esplosivi, attentati incendiari in tutta Italia, dal 2005 al 2011. Dopo una condanna in primo e secondo grado a 20 anni per Cospito e a 17 per Beniamino, a inizio luglio 2022 la Cassazione riqualifica il reato in strage politica. Cospito, già in carcere a scontare condanne diventate ormai definitive, tra cui quella per la gambizzazione del manager dell’Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, insieme ad Anna Beniamino, torna sul banco degli imputati davanti alla Corte d’assise d’appello di Torino per quegli ordigni: una trappola fallita per mera casualità. “Quella fu un’azione massicciamente distruttiva” e se non fosse stato per una serie di circostanze “noi oggi conteremmo i morti”, dice in aula il procuratore generale Francesco Saluzzo. E ancora: “Fossano non fu un fatto lieve. L’aggressione allo Stato non si misura sui danni, ma sul disegno, sugli scopi dell’organizzazione, sui mezzi che vengono utilizzati”. Due ordigni temporizzati, pieni di bulloni, programmati per esplodere nella notte del 2 giugno 2006, a distanza di qualche minuto uno dall’altro per richiamare sul posto le forze dell’ordine e colpirle. “Il nostro modo per festeggiare la nascita dell’infame repubblica italiana e l’altrettanto infame anniversario dell’arma dei carabinieri” recitavano i volantini di rivendicazione.

Cospito: “Non c’è alcuna prova della nostra colpevolezza” - Cospito, in videocollegamento dal carcere, ha negato il suo coinvolgimento: “Non c’è alcuna prova che abbiamo piazzato noi quegli ordigni”. Detenuto a Sassari in regime di carcere duro perché dietro le sbarre avrebbe continuato a incitare i compagni all’azione, dal 20 ottobre al 19 aprile ha portato avanti uno sciopero della fame contro il 41bis e il sistema carcerario. Ha interrotto la protesta dopo che la Corte costituzionale ha fatto cadere la norma che vincolava la Corte d’assise d’appello di Torino a condannarlo all’ergastolo. E il teorico della Fai, 56 anni, è la seconda volta che vince la sua battaglia davanti alla Corte costituzionale. Renitente alla leva, si era rivolto alla corte per ottenere l’incostituzionalità degli arresti ripetuti di chi si sottraeva alla naia.

Personaggio aspramente contestato anche all’interno del mondo anarchico, con la sua protesta era riuscito a ricompattare la galassia anarchica. Che aveva lanciato una mobilitazione internazionale in Italia e nel resto del mondo con attentati e danneggiamenti a simboli e rappresentanti dello Stato. E oltre alla procura di Bologna, dove è stato aperto un fascicolo per associazione sovversiva con una mezza dozzina di indagati, si è mossa quella di Milano, che in relazione ad episodi avvenuti lo scorso 11 febbraio ha ottenuto sei misure restrittive (fra divieti e obblighi di dimora). Ieri, a Palazzo di Giustizia a Torino, in solidarietà, erano appena una ventina.