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di Frank Cimini

Il Riformista, 1 luglio 2022

Il diritto di ogni imputato ad un equo processo e al rispetto della sua vita privata. Questi diritti non sono stati rispettati nelle vicende dei dieci ex appartenenti a gruppi della lotta armata in Italia a cavallo tra gli anni settanta e ottanta secondo la corte d’Appello di Parigi che ha rigettato la richiesta di estradizione nel nostro paese.

A rischiare l’estradizione respinta in modo secco dai giudici francesi erano Giorgio Pietrostefani condannato come mandante dell’uccisione del commissario Luigi Calabresi, gli ex Br Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio Di Marzio, Enzo Calvitti, l’ex esponente di Autonomia Operaia Raffale Ventura, l’ex militante dei Proletari Armati per il comunismo Luigi Bergamo,l’ex dei Nuclei armati per il contropotere territoriale Narciso Manenti.

Tutti erano stati fermati ad aprile dell’anno scorso e rimessi in libertà in attesa della decisione della magistratura arrivata ieri pomeriggio e contro la quale l’Italia potrà fare ricorso amministrativo al Consiglio di Stato francese anche se l’unica impugnazione vera potrà presentarla solo la procura generale di Parigi. Per il momento vanno registrate le proteste sguaiate dei politici di casa nostra che accusano i magistrati d’Oltralpe di “proteggere gli assassini”.

In prima fila ci sono Antonio Tajani di Forza Italia secondo il quale “questo non è garantismo” e Matteo Salvini che sentenzia: “È una vergogna”. Maurizio Gasparri usa la definizione di “fiancheggiamento criminale”. A iniziare il percorso approdato all’insuccesso davanti alla corte d’Appello parigina era stata la ministra Marta Cartabia ispirata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale il giorno del rientro di Cesare Battisti ripreso dagli smartphone di due ministri da lui nominati aveva tuonato: “E adesso gli altri”.

Per Irene Terrel storica legale degli italiani rifugiati in Francia “sono stati applicati i principi superiori del diritto” con riferimento al rispetto della vita personale, privata e della salute degli imputati e alle molto controverse norme del processo in contumacia. Irene Terrel più volte nel corso delle udienze aveva ribadito quello che è da anni il suo pensiero relativo a un fenomeno politico che doveva e poteva essere risolto solo politicamente con un provvedimento di amnistia. Grida di gioia, abbracci e lacrime in aula alla lettura della sentenza che potrebbe aver messo la parola fine all’operazione Ombre Rosse. I dieci ex militanti dell’estrema sinistra italiana di tanti anni fa vivono da tempo in Francia, si sono rifatti una vita trovando lavoro costruendo una famiglia, diventando padri e addirittura nonni.

Giorgio Pietrostefani ex dirigente di Lotta Continua ha rischiato di tornare in manette in Italia, oltretutto in condizioni di salute precarie da tempo, per un fatto l’omicidio Calabresi che risale al 17 maggio del 1972.

Sarebbe auspicabile, ma con i tempi che corrono non pare proprio scontato, che la decisione dei giudici francesi contribuisca ad avviare finalmente una riflessione seria sui cosiddetti anni di piombo. Purtroppo la debolezza della politica trova conferma pure in questa vicenda antica che però sembra essere utilizzata per governare oggi con il potere che mostra i muscoli e manifesta sentimenti di vendetta strumentalizzando il dolore dei parenti delle vittime.

Va ricordato che il comportamento degli apparati statali non fu proprio da stato di diritto anche se ci sono voluti 50 anni per vedere in tv in un documentario di Sky che gli arrestati venivano torturati. L’Italia non ha ancora una legge adeguata per sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale.