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di Roberto Saviano

Corriere della Sera, 1 aprile 2022

Vi presento Tomas, viene dal Ghana e vive in provincia di Foggia, in un casolare abbandonato, senza acqua né elettricità. Frequenta la baraccopoli di Borgo Mezzanone, che si stima ospiti in condizioni di estrema povertà quasi duemila persone. Tomas è uno dei protagonisti di One day one day, documentario prodotto da A Thing By - un collettivo creativo di ragazzi dal 23 ai 28 anni - insieme a Will Media, che racconta una storia che nessuno vuole conoscere. E che nessuno voglia conoscerla lo so per certo, perché provo a raccontarla da anni e la risposta è sempre il silenzio quando non addirittura l’insulto. E così, in risposta alla distrazione mista a senso di colpa degli adulti, questo film è il primo nella storia a essere vietato ai maggiorenni. Bravi ragazzi, mi viene da dire! Ignorateci, ignorate generazioni e generazioni di persone vecchie dentro prima che fuori, dai traguardi insoddisfacenti ai quali si aggrappano pieni di frustrazione.

One day one day, A Thing By e Will Media lo stanno presentando nelle scuole avendo compreso che oggi gli unici rimasti ad avere occhi per vedere sono le ragazze e i ragazzi. Loro riescono a provare empatia, ma - dettaglio non trascurabile - non possono ancora votare e dunque essere determinanti sul piano politico. Chi può votare, invece, e quindi almeno provare a cambiare le cose, ha deciso forse consapevolmente di fottersene di chi vive, anzi, di chi sopravvive e soprattutto crepa di fatica nei ghetti d’Italia. Quando mi hanno mostrato One day one day, mi hanno detto che in tanti si sono commossi ma in pochi hanno voluto adottare le vite che racconta. Ho provato una rabbia im possibile spiegare a parole, perché anche quando gli effetti della guerra sulle persone sono drammaticamente evidenti, si riesce a essere discriminatori nell’aiuto portato a chi soffre.

Oggi stiamo sperimentando l’esistenza di profughi di serie A e di profughi di serie B. E di immigrazione sono in pochi a voler parlare perché è un argomento difficile, ma quando lo facciamo dovremmo avere la capacità di scindere il privilegio dalla colpa. Uno dei protagonisti del documentario dice: “Se qualcuno vuole sapere perché sono nato in Africa, lo chieda al creatore. È stato lui”. Allo stesso modo dico: non dobbiamo sentirci in colpa per aver sperimentato il privilegio della pace, ma nemmeno spingerci a pensare sia un merito. Il destino non ci autorizza a fottercene di come stanno gli altri, per almeno due motivi; il primo è di natura morale (eh, forse questa parola a qualcuno potrebbe non piacere): non posso, da una posizione di privilegio, non occuparmi di chi vive in condizioni disumane. La seconda è per mero istinto di sopravvivenza, perché nella inconsapevolezza collettiva è come se stessimo banchettando sulla dinamite in attesa dell’esplosione. E, come dice un altro protagonista del documentario - l’esplosione ha le sembianze della Primavera araba, del Black lives matter, dell’ It’s Enough.

In questa sorta di inconsapevolezza collettiva non ci rendiamo conto di essere parte della Storia, della storia con la esse maiuscola, e che potremmo per una volta cambiarla la Storia. Con responsabilità, invece di restarne come sempre schiacciati. Chi sa poi se sia davvero disinteresse e non, per esempio, senso di impotenza: il desiderio di voler, con le sole proprie forze, aiutare e la consapevolezza che l’impresa è impossibile. Eppure, quando in mare, con una pratica inaugurata dall’orrendo governo giallo-verde, venivano bloccate imbarcazioni stracariche di naufraghi in condizioni fisiche, psicologiche e climatiche estreme, chiedevo alle persone che incontravo come vivessero quel sopruso, i più alzavano le spalle: cosa posso farci io? Beh, tu puoi fare tutto: puoi pretendere che chiunque entri in Italia abbia una cosa senza la quale nessun’altra è possibile: i documenti! Una parola semplice che racchiude tutti i diritti.

Documenti, cittadinanza, contratti di lavoro, l’affitto di una casa: questo percorso di legalità, cosa toglie alla tua vita? One day one day ci dice che non esiste felicità individuale. Cenare tra amici, fare l’amore con la persona che ami, guardare una partita di calcio coi tuoi figli, portare a termine un lavoro gratificante, momenti di felicità di cui non devi sentirti in colpa, se il tuo impegno è lavorare affinché i diritti di cui tu godi siano per tutti. “La vita è capire”, dice Tomas. “L’amore è capire. Se non capisci come fai ad amare?”.