sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Luigi Manconi

La Repubblica, 4 ottobre 2022

Non sarà il fascismo, anzi non lo è sicuramente, ma è l’espressione di una concezione anti-garantista dell’amministrazione della giustizia e di una idea autoritaria del sistema penale.

Anche a distanza di una decina di giorni dal voto del 25 settembre, si riproduce un sottile e perverso equivoco. Un classico delle strategie di disinformazione e delle spirali di automanipolazione. Ovvero si dà per acclarato che nel corso della campagna elettorale si sia verificata la “criminalizzazione” di Giorgia Meloni e l’evocazione del “pericolo fascista”. Una simile falsa rappresentazione è stata accreditata anche a sinistra (dove, notoriamente, l’autoflagellazione e il luogocomunismo costituiscono altrettanti evergreen).

Ora, dal momento che la criminalizzazione è un concetto preciso e terribile, usarlo a capocchia è, se non altro, di cattivo gusto; e ritenere che possa instaurarsi un regime fascista è un’autentica corbelleria che nessuno, a parte qualche esaltato di nessuna credibilità, ha manifestato: dunque le due presunte imputazioni si rovesciano nel loro speculare opposto.

La conseguenza è pressoché automatica: a) Giorgia Meloni è una adamantina democratica della quale non ci si deve minimante preoccupare; b) considerato che non ci sarà un golpe di destra, non c’è ragione di allarmarsi. Ma forse che, una volta esclusa una “deriva fascista”, si possono dormire sonni tranquilli? Io, per esempio, non sono affatto tranquillo dopo aver sentito Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Luca Ceriani, membro della Commissione giustizia al Senato, e Andrea Delmastro Delle Vedove, responsabile per la Giustizia del partito, affermare all’unisono la loro “totale contrarietà” alle misure alternative alla detenzione in carcere.

Non sarà il fascismo, anzi non lo è sicuramente, ma è l’espressione di una concezione anti-garantista dell’amministrazione della giustizia e di una idea autoritaria del sistema penale. Ed è la manifestazione, infine, di un grave sprezzo di quella norma costituzionale che esige la “rieducazione del condannato” (art. 27, comma 3). Se mettiamo insieme questa impostazione giustizialista dell’azione penale e tanti altri orientamenti (nell’ambito dell’immigrazione, dei diritti individuali della persona, della questione rom…) viene da chiedere: vi sembra poco?