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di Antonio Polito

Corriere della Sera, 20 luglio 2023

Nelle differenze tra Italia e Francia, che hanno radici storiche, c’è un sottofondo comune: il nichilismo dei teenager. Anche se non sono fenomeni accostabili da noi la violenza dei giovani si esprime in forme che risultano più difficili da comprendere.

Mentre tutti guardavano con sgomento alla rivolta nelle strade di Francia, qualcuno si chiedeva: “Perché non succede anche da noi?”. C’è infatti un consistente filone di pensiero che considera disperata la nostra situazione sociale, vede grandi masse di giovani impoveriti e diseredati, lamenta il dilagare del razzismo, denuncia forme di governo autoritarie. E dunque non si spiega come mai questo stato di cose non produca una sollevazione, se non una rivoluzione. Per chi la pensa così, le notti di fuoco dei teenagers d’oltralpe sono dunque quantomeno un monito (Giuseppe Conte ha profetizzato un “incendio sociale”), se non un modello.

Pur senza lanciarsi in paragoni azzardati, perché ogni Paese fa storia a sé, il parallelo con Parigi potrebbe invece indurci a una riflessione ottimistica. Nel senso che i nostri innegabili problemi forse non sono così gravi come sembrano, e comunque non così gravi come in altri Paesi europei. Per esempio, l’immigrazione. È vero che da noi il fenomeno è troppo recente per poter già dare un giudizio sul grado di integrazione raggiunto dai cosiddetti “newcomers”: sappiamo ormai per esperienza che sono le terze e quarte generazioni a mostrare una rabbia che genitori e nonni non avevano nei confronti del Paese ospitante. Riscoprono l’orgoglio delle origini, si ribellano a ogni forma di discriminazione. E finiscono per odiare il posto dove vivono. Non siamo ancora in grado di capire se questo accadrà un giorno qui come in Francia.

Però è sicuramente vero che il modo, perfino la distribuzione geografica, con cui si è stratificata la presenza degli stranieri che vivono stabilmente in Italia è molto diverso da quello francese e anche da quello inglese. Ghetti da noi, con qualche riprovevole eccezione, non ce ne sono. E anche i quartieri delle nostre città a più forte concentrazione di immigrati non presentano certo le caratteristiche sociali e culturali delle banlieue parigine. Il vero problema italiano semmai, è quello dei cosiddetti “clandestini”, di chi è costretto a una vita fuorilegge. Quel serbatoio di illegalità va perciò prosciugato il più possibile, anche attraverso l’accoglienza e l’integrazione, non solo provando a rallentare il traffico di esseri umani nel Mediterraneo.

C’è però un aspetto della condizione giovanile in Italia che non va sottovalutato. Mentre in Francia i ragazzi facevano notizie per gli scontri con la polizia, da noi le cronache raccontavano gli scontri stradali di super-car guidati da giovanissimi ebbri di velocità o di stupefacenti. Oppure ancora di delitti atroci per un po’ di droga, di pestaggi mortali a barboni, di sfide tra bande, di accoltellamenti del sabato sera per una ragazza, di femminicidi. Lungi da me voler accostare i due fenomeni. Ma quel sottofondo di nichilismo, di perdita di senso della vita, che certamente c’è sotto la pelle della questione razziale nella rivolta dei teenager francesi, agisce eccome anche da noi nel corrompere l’animo dei nostri figli, anche se assume forme per così dire più “private”. E proprio per questo perfino più incomprensibili.