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di Mario Iannucci*

Ristretti Orizzonti, 9 agosto 2023

Sabato 15 luglio si è avuta notizia dell’ennesimo suicidio a Sollicciano, il sesto nell’arco di un anno. Gaia Tortora, che ha visitato di recente l’istituto, ha denunciato il clima tremendo dell’istituto. Tremendo non tanto per via del caldo, della fatiscenza delle mura di cemento che rendono quel caldo insopportabile (lo dico con cognizione di causa, poiché ho lavorato per trentacinque anni in quel terribile carcere), non tanto per via delle blatte e della sporcizia. Il clima è tremendo perché, all’interno di quell’istituto, ci si immerge in una totale e inevitabile disperazione, nell’assenza cioè di ogni speranza. Dentro quelle mura fatiscenti ciò che impera è il dilagante disagio mentale.

Perché tanti suicidi nel carcere fiorentino? Il meteo può essere invocato, anche se, durante tutti gli anni della mia lunga permanenza a Sollicciano, l’estate era inevitabilmente rovente. La fatiscenza dell’istituto e la sporcizia possono e debbono essere invocate, ma solo perché testimoniano della scarsissima attenzione che la società civile e tutte le istituzioni riservano ad un luogo per il quale lo sguardo e l’attenzione dall’interno e dall’esterno svolgono invece una funzione vitale: scotomizzare il problema del disagio esistenziale recluso è d’altronde indispensabile per chiunque voglia andare al mare o in montagna senza nutrire gravi sensi di colpa.

Per cercare di dare qualche spiegazione della fortissima incidenza dei suicidi a Sollicciano, per fortuna non può essere invocato il sovraffollamento penitenziario: se si prescinde dal calo temporaneo di presenze post indulto 2006, a Sollicciano per moltissimi anni non si è scesi sotto la soglia degli 800 detenuti presenti mediamente in istituto, mentre attualmente, stando a ciò che ci racconta Gaia Tortora nel suo articolo, i detenuti a Sollicciano sono appena 436, e quindi attorno alla capienza ‘regolamentare’. Benissimo la ‘sentenza Torrigiani’ della CEDU, che indica la necessità di garantire a ciascun detenuto un minimo spazio vitale. Tuttavia non ho mai pensato che ci si tolga la vita per un metro cubo in meno di spazio abitativo.

L’articolo di Gaia Tortora ci dipinge esempi interessanti delle persone con gravi disturbi psichici che la giornalista ha incontrato andando in giro per le sezioni del carcere. Ma soprattutto Gaia Tortora scrive qualcosa che può davvero illuminare se si intende provare a riflettere sulle vere ragioni di tanti suicidi. Ella scrive: “Qui [a Sollicciano], quando arriva lo psichiatra, spesso dice che il soggetto è normale e così la partita si chiude”. Sappiamo, purtroppo, che ciò che scrive la giornalista accade davvero. I soggetti affetti da gravissimi disturbi psichici rappresentano ormai una fetta assolutamente consistente (se non prevalente) almeno dei grandi Case circondariali. Le persone affette da croniche dipendenze da sostanze, da gravi o gravissimi disturbi di personalità o da altri disturbi psichici ‘maggiori’, sono la porzione assolutamente prevalente della popolazione detenuta.

Solo una piccola percentuale dei folli rei (persone con gravi disturbi psichici che compiono reati) viene giudicata incapace di intendere e di volere e quindi prosciolta per vizio di mente. Solo taluni dei prosciolti vengono giudicati socialmente pericolosi e destinati al ricovero in una REMS. Eppure, se circa 700 rei folli (persone che hanno compiuto dei reati e sono stati riconosciuti affetti da “vizio di mente”) sono attualmente ospitati nelle REMS, altrettanti sono invece i rei folli che non possono entrare nelle REMS per mancanza di posti. Molti di costoro, sebbene riconosciuti portatori di una consistente pericolosità sociale, restano liberi, con misure di controllo scarse o assenti. Non pochi dei rei folli, poiché fortunatamente ci sono ancora dei Giudici assennati, rimangono in carcere in attesa di entrare delle REMS, perché troppo pericolosi da un punto di vista sociale. Spesso se ne stanno nelle sezioni ordinarie, dove si può immaginare quali problemi creino agli altri compagni di detenzione e al personale della Polizia Penitenziaria che deve necessariamente provvedere alla loro cura molto più che alla loro custodia. Davvero a poco, di fronte al dilagare di un disagio psichico intramurario così profondo e diffuso, serve la sporadica e del tutto insufficiente presenza delle ATSM (Articolazioni Tutela Salute Mentale; già il nome la dice lunga sulla loro quasi totale inefficacia). A poco serve, come al solito, una condanna CEDU per questa detenzione illegittima in carcere di malati di mente che il Giudice ha invece stabilito che debbano essere ricoverati in Residenze sanitarie (le REMS sono sanitarie).

Ma il problema è soprattutto costituito dall’atteggiamento ormai prevalente della psichiatria italiana di fronte alla questione ineludibile della pericolosità sociale che è strettamente connessa a molte forme di grave disagio psichico. Qual è dunque tale atteggiamento? E’ quello sintetizzato dalle parole di Gaia Tortora. Allorquando nei pazienti con gravi turbe mentali emergono anche elementi di pericolosità sociale, la psichiatria si tira indietro: dice che la gestione del soggetto compete alle Forze di Polizia, ai Giudici, al Personale Penitenziario, a tutti meno che agli Operatori della Salute Mentale. Dice che i soggetti che presentano elementi antisociali, sebbene presentino anche altri profondi elementi psicopatologici, non sono di competenza della ‘Salute Mentale’, sono cioè “normali”, per dirla con Gaia Tortora. Non solo. Mentre la psichiatria di tutto il mondo si confronta con il problema assolutamente arduo di rendere gentile la coazione alla cura per i gravi pazienti non condiscendenti (non-compliant), dalle nostre parti non si viene considerati bravi e buoni psichiatri se non ci si batte per il “diritto alla pena” dei pazienti psichiatrici autori di reato e per l’abrogazione delle norme sul Trattamento Sanitario Obbligatorio. Ma si va oltre. Mentre la psichiatria accademica di tutto il mondo diffonde le linee guida per la prevenzione del suicidio nei pazienti con gravi turbe mentali, nel nostro Paese (ma anche altrove) ci sono psichiatri che teorizzano l’imprevedibilità del suicidio e, dunque, l’impossibilità per gli Operatori della Salute Mentale di operare una efficace prevenzione. Ci sono addirittura psichiatri e legislatori, in altre parti del mondo, che sottoscrivono norme di legge per garantire il suicidio medicalmente assistito ai pazienti, unicamente affetti da gravi patologie mentali, che chiedano di porre fine alla loro vita.

Non ci meravigliamo, allora, se a Sollicciano si impicca un detenuto, padre di cinque figli, che sarebbe dovuto uscire in libertà il prossimo autunno. Non ci meravigliamo, anche se l’uomo “aveva più volte minacciato il suicidio”, anche se “spesso veniva visto con qualche filo o qualche piccola cordicella attorno alla gola”, anche se “si era procurato vari tagli nel corpo per autolesionismo e aveva ingerito in passato delle pile stilo, [anche se] aveva problemi di salute mentale [ed] era stato più volte ricoverato in ospedale, dove però era lui stesso a rifiutare le visite”.

Sarebbe un errore, comunque, pensare che quello della psichiatria del carcere fiorentino sia un caso isolato. L’ultimo suicidio a Sollicciano è del 15 luglio. Il giorno prima, nel carcere di Torino, si era impiccato un altro uomo. Anche lui non era nemmeno cinquantenne. Anche lui sarebbe dovuto uscire il prossimo autunno. Anche lui era stato ricoverato in psichiatria nemmeno un mese prima.

Nel 2022 i suicidi nelle carceri italiane sono stati 85. Molti di loro avevano documentati problemi psichiatrici. I detenuti in Italia, alla fine del 2022, erano 56.196. Il tasso grezzo e medio di suicidi nelle carceri italiane, nel 2022, è stato all’incirca di 151 suicidi per 100.000 detenuti. Gli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità sul suicidio, che mi sembrano essere quelli del ISTAT del 2016, riportano per gli uomini un tasso grezzo di suicidi dell’11,8 per 100.000 abitanti (per le donne il tasso è nettamente inferiore). Considerando che la popolazione detenuta italiana è per circa il 90% maschile, possiamo tranquillamente affermare che, in Italia, l’incidenza del suicidio è circa 13 volte superiore a quello della popolazione libera.

Anche l’incidenza delle gravi patologie mentali, in carcere, è enormemente superiore a quello che si registra nella popolazione libera. Possiamo continuare a far finta di ignorare questo ineludibile elemento di realtà. Possono di sicuro continuare a farlo gli psichiatri, specie quelli penitenziari, gravati come sono da responsabilità terapeutiche insostenibili. Qualche bravo giornalista, ogni tanto, può continuare a segnalare una situazione penitenziaria che oramai appare indegna di un Paese appena civile. Poco cambierà, però, se il sistema giudiziario/penitenziario italiano non sarà in grado di sollecitare nel sistema di salute mentale un radicale cambio di atteggiamento, che porti all’assunzione di puntuali responsabilità, da parte della salute mentale, nel provvedere, in un proficuo ‘tiro a due’ con la giustizia, a quelle forme di controllo gentile che sono parte essenziale della cura.

*Psichiatra psicoanalista, esperto di Salute Mentale applicata al Diritto