di Patrizia Maciocchi
Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2023
In vista dell’uscita non può pesare in maniera decisiva la prova del ravvedimento. L’istituto è utile a coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro. Il no al permesso premio, per l’assenza di una prova concreta di ravvedimento, opposto al detenuto in vista del fine pena rischia di tradursi in un indebito ostacolo al reinserimento sociale. Una graduale apertura verso l’esterno, che passa anche per la possibilità di godere di alcune ore fuori dalla cella.
La Cassazione, con la sentenza 37631, accoglie il ricorso contro il rigetto dell’istanza per ottenere un permesso premio di sei ore. Un rifiuto che c’era stato malgrado il richiedente avesse interamente espiato la pena irrogata per i delitti ostativi. A pesare sulla decisione erano stati soprattutto i dubbi del Tribunale sul grado di revisione critica raggiunta.
Ma, per la Suprema corte, la conclusione non ha tenuto conto delle finalità di risocializzazione dell’istituto e del fatto che il permesso premio è funzionale alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro. A fronte di una regolare condotta del detenuto e dell’assenza di pericolosità sociale, va dunque valorizzata la “specifica funzione pedagogico propulsiva” dell’istituto.
L’importanza della data del fine pena, è confermata dalla Suprema corte, con la sentenza 37626, con la quale è stato respinto il ricorso di un collaboratore di giustizia sempre teso ad ottenere il permesso premio. A richiederlo un detenuto considerato la memoria storica del clan dei casalesi. “Qualità” che il ricorrente aveva messo sul piatto della bilancia per l’importanza della collaborazione con gli inquirenti.
Dalla sua il ricorrente aveva anche un parere favorevole della direzione nazionale antimafia e della direzione distrettuale che teneva conto del taglio con gli ambienti della camorra. Per il giudice di sorveglianza però il detenuto non aveva elaborato il suo passato criminale e, soprattutto il fine pena era fissato nel lontano febbraio 2052.
La Cassazione respinge il ricorso e ricorda che, per i reati aggravati di mafia come per i reati di terrorismo, il requisito del ravvedimento non può essere presunto solo sulla base della collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti con la criminalità organizzata. Per la concessione dei benefici è necessaria “la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrare in positivo, sia pure in termini di mera ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza”.
Nel caso esaminato il no è giustificato dalla lunga pena da scontrare, del pesante passato criminale del condannato e della sua scarsa capacità di elaborare profondamente il suo vissuto. Circostanze evidenziate da una relazione di Equipe secondo la quale era necessario un supplemento di osservazione sul cammino di revisione critica. Indagini in più che non servono invece quando le porte del carcere stanno per aprirsi.