di Fulvio Fulvi
Avvenire, 2 aprile 2023
Tre mamme appena arrestate, portate nello stesso penitenziario con i loro figli neonati. Tre bebè dietro le sbarre, lo scandalo che non avrebbe dovuto più ripetersi e su cui la politica è andata in frantumi qualche giorno fa, cancellando la buona legge che per evitare questa ingiustizia era nata ed era stata sostenuta nella passata legislatura.
Una situazione eccezionale che ha provocato una mobilitazione del già scarso personale di vigilanza. C’è tutto il male e anche tutto il bene del sistema carcerario italiano nella vicenda che sta coinvolgendo in queste ore la casa circondariale “Capanne” di Perugia. È qui che le tre donne coi loro piccoli sono state rinchiuse. Uno dei bambini, quello di un anno e mezzo - gli altri hanno due e sei mesi - non sta bene e ha bisogno di cure e assistenza medica.
Entrata in cella, la madre non sapeva cosa fare, era disperata ed è scattata quindi una gara di solidarietà tra gli agenti di polizia penitenziaria per cercare di risolvere l’emergenza: chi è andato in farmacia a comprare le medicine, chi al supermercato per gli omogeneizzati e i pannolini, un altro ha chiamato un pediatra. E nell’operazione a sostegno della reclusa e del suo bambino si sono coinvolti anche la direttrice della struttura, Bernardina Di Mario, e il comandante dei poliziotti, Fulvio Brillo. Insomma, hanno fatto tutti ciò che non era nelle loro competenze.
Ma l’emergenza ha riguardato anche le altre due mamme, stordite dall’impatto col carcere e angosciate perché, oltre ai neonati da accudire dietro le sbarre, hanno dei figli minori dai quali, con il loro arresto, sono state separate. E anche a loro è arrivato il conforto del personale. A denunciare la vicenda delle tre mamme è stato il garante deí detenuti della Regione Umbria, Giuseppe Caforio, il quale ha parlato di un “contesto di particolare sofferenza” sottolineando come gli addetti alla sorveglianza “si sono fatti in quattro per risolvere il problema”.
“Il carcere è un mondo complesso e articolato - ha commentato il Garante - che costituisce comunque una comunità dove ci sono anche esempi di grande solidarietà e umanità”. “A fronte di tante notizie brutte che arrivano dal carcere come suicidi, autolesionismi e disperazione a volte ci sono esempi illuminanti con la polizia penitenziaria e gli amministrativi che fanno cose meravigliose”.
“Quella carceraria - ha aggiunto Caforio - è una realtà della quale non si ama parlare e invece le testimonianze che arrivano da lì possono migliorare la società. Con una funzione di prevenzione, un esempio che può essere un deterrente per chi intende commettere reati e per fa sì che chi ha sbagliato possa avere un percorso di riabilitazione e un’opportunità bisogna sempre concederla”. L’istituto di pena perugino, dove sono ospitate una cinquantina di detenute, la maggior parte delle quali straniere, non è, però, l’unica “perla” del sistema carcerario italiano in quanto a “braccia aperte” e generosità.
Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nelle 192 carceri del nostro Paese sono 23 le mamme recluse e 26 i bambini con meno di sei anni che scontano assieme a loro la pena dietro le sbarre anziché in una casa-famiglia protetta. Serve un provvedimento sulle detenute madri. Ma l’8 marzo scorso la Commissione Giustizia della Camera ha bloccato, a causa di una raffica di emendamenti presentati dalla maggioranza per stravolgerne il testo, la proposta di legge Serracchiani, poi ritirata: affermava il principio sacrosanto del “mai più i bambini in carcere con le loro madri” e prevedeva l’eliminazione dei nidi nelle sezioni femminili lasciando però la possibilità che i piccoli venissero reclusi con le genitrici negli Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri) qualora sussistessero “esigenze cautelari di particolare rilevanza”.