di Francesco Lo Piccolo (direttore di "Voci di dentro")
www.huffingtonpost.it, 26 febbraio 2015
Nel carcere di Pescara sta per partire La Città, progetto sperimentale dell'Associazione Voci di dentro per "trasformare" un pezzo del carcere in un "luogo di senso" dove alcune delle persone detenute (una quarantina in una prima fase) "potranno vivere lo spazio e il tempo come si vive lo spazio e il tempo del mondo libero". Sono mesi che ci lavoriamo, siamo a un buon punto: in accordo con la direzione dell'Istituto, al secondo piano di un capannone esterno alla zona delle celle, ma sempre dentro il carcere, in un'area di circa 500 metri quadrati, i detenuti della redazione di Voci di dentro, i volontari dell'associazione, un gruppo di psicologi e sociologi dell'Università D'Annunzio di Chieti e gli ingegneri di Viviamolaq (gli stessi che a L'Aquila hanno realizzato Parcobaleno a Santa Rufina, Restart in piazza San Basilio ecc.) tutti insieme abbiamo ridisegnato, dipinto e arredato cinque grandi stanze, un salone e un ampio corridoio. Colori alle pareti, scaffali, e tavolini (tutti realizzati in arte povera) stanno trasformando lo spazio per renderlo uno scampolo di città con la sua piazza, la sua strada, le sue scuole, i suoi servizi ricreativi e culturali, la biblioteca, l'azienda, l'area artigianale... (Per chi ci vuole dare una mano è stata anche avviata una raccolta fondi).
Nulla di eccezionale. È il naturale sviluppo del lavoro e delle attività portate avanti da oltre otto anni dall'Associazione Onlus Voci di dentro negli Istituti penitenziari di Chieti, Pescara, Vasto e Lanciano; è il superamento della formula dei tanti corsi che si fanno nelle carceri e che, come abbiamo ben visto, il più delle volte vengono abbandonati a metà percorso e frequentati dai detenuti solo in vista del giudizio dell'area educativa del carcere così da ottenere qualche beneficio o permesso premio in più. La Città è un esperimento pilota per cercare di concretizzare quello che indicano i più avanzati modelli architettonici per le prigioni e le stesse linee guida vecchie di qualche decennio delle Commissioni europee che si occupano di sistemi penitenziari e che prevedono appunto l'organizzazione delle strutture carcerarie come il mondo di fuori.
Realizzata la struttura (in parte), ora siamo alla messa a punto del contenuto: concretamente prevediamo di collocare ne La Città degli spazi di vita che abbiamo suddiviso in spazi lavoro, comunicazione, studio-formazione, creativo individuale, hobby-svago. Nuovi spazi dunque all'interno dei quali i detenuti, nei limiti imposti dalla sicurezza e secondo tempi e modalità concordate con l'amministrazione penitenziaria, potranno accedere e muoversi liberamente. Inizialmente mezza giornata, ma l'intento è di usare questo spazio tutta la giornata così da poter rendere effettivo l'articolo 6 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) che distingue chiaramente la cella per il pernottamento dai locali per le attività.
Spazi che noi intendiamo come luoghi di vita dove i detenuti poco alla volta si riappropriano del sapere, della conoscenza, di valori. Delle regole. Attivi e non passivi. E inevitabilmente, luoghi che cambiano anche i volontari: non più attori che si muovono individualmente guidati da una personale motivazione, ma parte di un processo che coinvolge in ugual misura le persone detenute e quelle non detenute. Tutti insieme impegnati, in grande sintesi
1. nello spazio lavoro ovvero nelle attività di digitalizzazione già avviate dalla cooperativa Alfachi (nata sempre dall'associazione Voci di dentro), attività retribuite con obblighi e doveri in tutto e per tutto identici a quelli di qualunque lavoratore;
2. nello spazio comunicazione dove si realizza la rivista Voci di dentro, rivista e luogo di lavoro contro gli stereotipi e la spettacolarizzazione degli avvenimenti con una visione critica e aperta alle diverse culture e tradizioni;
3. nello spazio studio-formazione con corsi di italiano, lingua, scrittura creativa, informatica, e più in generale corsi professionali in collegamento diretto col mondo del lavoro;
4. nello spazio studio creativo individuale (La biblioteca);
5. nello spazio hobby-svago.
In sostanza immaginiamo che ci sarà ad esempio chi lavorerà presso la cooperativa e poi avrà un momento di relazione sociale e di svago; oppure ci sarà chi si inserirà nella formazione e poi accederà all'area sociale e successivamente a quella di svago ed infine chi dedicherà il suo tempo all'impegno sociale con le attività redazionali dell'associazione Voci di dentro per poi passare all'area sociale e a quella di svago. Questo dal lunedì al venerdì. Nelle giornate del sabato e della domenica, ove e quando possibile, si prevede inoltre l'incontro e il confronto: in sintesi si prevedono momenti di incontro con la realtà esterna attraverso convegni culturali su temi di rilevanza sociale, proiezione di film, dibattiti.
L'idea è quella di far entrare ne La Città tanti altri detenuti. Pensiamo di poter fare questo inglobando altri spazi uguali ed estendere il progetto (se possibile) anche ad altri locali e ai cortili immaginando la possibilità che tutto il carcere diventi La Città fino alla dissoluzione di quel muro che isola, chiude, costringe. Un muro che blocca nel tempo corpi e menti, immobili e fissi come statue al momento del loro primo ingresso fino alla fine della pena, luogo senza senso che elimina per sempre (tranne qualche piccola eccezione) ogni possibilità di cambiamento: la prova è la realtà delle carceri "abitate" sempre dalle stesse persone che vi entrano, vi escono e vi rientrano negli anni e sempre uguali.
L'obiettivo è chiaro: dare orizzonti e futuro a delle persone che vivono in un tempo e in uno spazio morti, oggetti invece che soggetti, ridotti all'unica funzione che è quella di detenuti. Non persone. Come se la pena fosse in realtà una pena a vita. Marchiati a vita al punto che quell'abito non riescono più a toglierselo di dosso. Per chi non sa cos'è e cosa fa un carcere. Per chi non sa come si vive in un carcere posso raccontare a titolo di esempio che i detenuti abituati per mesi, anni, a passeggiare all'aria avanti e indietro in uno spazio di trenta passi (da una parte all'altra del muro) quando si troveranno a passeggiare in un corridoio facciamo di 100 metri faranno sempre gli stessi trenta passi e poi torneranno indietro. Non so se ho reso l'idea, ma a me ha sempre fatto una grande impressione vedere cose così, vedere uomini-automi che in quel tragitto di pochi metri avanti e indietro, come mi è stato detto, parlano del passato, della rapina mancata... Non persone, ma corpi (per dirla alla Foucault che ho riletto in questi mesi), corpi sgangherati e strappati che in questa tappa carceraria non riescono più a cambiare pelle...incapaci di pensare al dopo, appunto al futuro. A costruirlo diverso dal passato.
Per questo abbiamo avviato la realizzazione de La Città. Con un occhio al fuori contro "il tempo vuoto, il tempo nemico, contro la galera che denuda e uccide" come ha detto Alberto Magnaghi, professore ordinario di pianificazione territoriale finito in carcere nel '79, per tre anni, nell'ambito dell'inchiesta 7 aprile, presentando poche settimane fa la nuova edizione del suo libro Un'idea di libertà. Un libro che consiglio perché mostra bene come il carcere, come la costrizione in uno spazio limitato arrivi a sconvolgere lo spazio interiore, di alterare le percezioni, condizionare ricordi, storie, presente e futuro. Fino a imprigionare il detenuto in un doppio carcere: quello visibile fatto di mura e celle e quello invisibile che vive dentro la persona detenuta e che si allarga fino ad uccidere l'idea stessa di uomo.