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di Grazia Longo

La Stampa, 5 giugno 2023

Il piano del governo contro i femminicidi. Il ministro dell’Interno: “Stiamo studiando un intervento da portare in Cdm. Pene severe necessarie ma non riportano in vita la vittima e non esauriscono il problema”. Ogni tre giorni in media nel nostro Paese viene uccisa una donna. E abbondano anche i casi di violenza, stalking, minacce, lesioni personali e atti persecutori.

Per tutelare maggiormente le vittime, il governo sta studiando un disegno di legge che rafforzi le misure in loro difesa. Un lavoro di squadra tra il Guardasigilli Carlo Nordio, la ministra della Famiglia, delle Pari opportunità e Natalità Eugenia Roccella e il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Proprio quest’ultimo fa con noi il punto della situazione.

Il femminicidio è un’emergenza?

“La violenza di genere e i femminicidi rappresentano un fenomeno particolarmente grave e odioso, intollerabile tanto più in una società avanzata come la nostra”.

Per questo avete optato per un’azione interministeriale?

“Sì, con i colleghi di governo, in particolare con i ministri Nordio e Roccella, stiamo lavorando a una ipotesi di intervento normativo da portare all’attenzione di uno dei prossimi Consigli dei ministri. Ma non ci limiteremo a questo”.

A cosa allude?

“A un’azione più collegiale. Quando il governo interverrà, in Parlamento ci sarà l’opportuno confronto tra le forze politiche. Sono sicuro che non mancherà un concreto spirito di condivisione e collaborazione”.

Il femminicidio, peraltro, è in costante crescita...

“I dati sono sicuramente preoccupanti. I casi sono stati 119 nel 2020, 120 nel 2021, 126 nel 2022. Nel corso di quest’anno, dal 1 gennaio al 28 maggio sono stati registrati complessivamente 129 omicidi volontari di cui 45 vittime sono donne. Trentasette sono state uccise in ambito familiare-affettivo e tra queste sono 22 le donne che hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner”.

In che modo pensate di potenziare l’attività di prevenzione?

“L’obiettivo è evitare che la violenza o addirittura l’omicidio sia commesso. Le pene severe servono, sono necessarie ma non riportano in vita la vittima e non esauriscono il problema. Per quanto di competenza del Viminale, stiamo ipotizzando un rafforzamento delle misure di prevenzione personali a partire dall’ammonimento nei confronti degli autori delle condotte violente e di informazione alle vittime, estendendo le possibilità e i casi di intervento del questore”.

Informazione delle vittime in che senso?

“È importante comunicare alle donne vittime di abusi la presenza dei centri antiviolenza che operano sul territorio, mettendole in contatto con queste strutture”.

E nei confronti degli uomini a cosa pensate?

“Innanzitutto al potenziamento dell’uso del braccialetto elettronico nel caso in cui l’autorità giudiziaria decida l’adozione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, nei confronti dei soggetti indiziati di delitti, consumati o tentati, nell’ambito della violenza di genere e domestica”.

Ritiene necessaria anche una prevenzione a livello socio-culturale?

“C’è un grande lavoro da fare. Le norme sul fronte della prevenzione e sulla sanzione penale sono fondamentali, ma certamente non bastano. C’è un tema più ampio che riguarda l’educazione e la formazione che deve partire con efficacia fin dai primi anni di scuola. La premessa di qualsiasi ragionamento sulla violenza contro le donne e sul suo culmine, il femminicidio, infatti, è che non si tratta di un fatto individuale ma sociale. Questa precisazione è decisiva perché parlare di un fenomeno sociale significa che le sue cause non sono da rintracciare soltanto nella devianza del singolo. Certo, le situazioni di cui parliamo ci pongono dinanzi a soggetti che hanno indubbiamente una propensione criminale. Ma chi rivolge la propria indole prevaricatrice verso una donna, per lo più la propria compagna, spesso è convinto intimamente di essere legittimato a farlo”.

Come si può intervenire?

“Chi calpesta la dignità di una donna, anche nei casi più estremi, vive un certo senso di impunità. È qui che si rintraccia la matrice culturale della violenza contro le donne, in questo sentimento di possesso irrazionale che disinibisce i loro aguzzini. Per questa ragione, lo strumento per contrastare il fenomeno non può essere limitato alla repressione del reato, ma deve essere agganciato a un progetto culturale, che comporti l’assunzione di una responsabilità collettiva e multidisciplinare per prevenirlo e contrastarlo. Si deve affermare compiutamente il rispetto della vita umana e della altrui libertà affinché in nessun modo la donna possa essere trattata come un oggetto, una proprietà, uno strumento”.