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di Elisa Sola

La Repubblica, 20 dicembre 2023

Quattro carceri sotto inchiesta con oltre 120 poliziotti indagati. Vertici della polizia penitenziaria coinvolti nelle accuse e mai trasferiti lontano dal Piemonte. Il rischio, avvertito dagli inquirenti, che le indagini, tutt’ora aperte, a carico di 90 agenti in servizio in tre carceri piemontesi (Biella, Ivrea e Cuneo), possano non essere protette dalla più totale riservatezza. Anche a causa di alcuni legami, che resterebbero saldi, tra i vertici degli istituti penitenziari al centro degli accertamenti e i piani alti del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Si percepisce un clima di tensione da qualche tempo tra amministrazione penitenziaria e inquirenti che indagano sulle violenze dietro le sbarre in Piemonte. Dal 2018 gli istituti penitenziari di Torino, Ivrea, Cuneo e Biella sono finiti nel mirino delle procure con l’ingresso sulla scena, in molti casi, di un’accusa quanto mai scomoda: la tortura nei confronti dei detenuti. Agenti denunciati per aver infierito su reclusi spesso fragili e indifesi, dagli stessi detenuti o dai garanti del territorio. Botte, punizioni e mortificazioni sistematiche da parte di gruppi di poliziotti che per anni sarebbero rimasti protetti grazie all’omertà di molti e da un sistema praticamente inaccessibile.

Queste ricostruzioni giudiziarie partite dalle procure piemontesi portano in Italia una nuova sensibilità sul tema della dignità dei detenuti raccogliendo le indicazioni europee e testano, in un certo senso, il vaglio dei giudici. A Torino, per esempio, l’inchiesta nata per prima dentro le Vallette è arrivata ora alla fase del dibattimento. Ma il filone dell’abbreviato che era stato scelto dai vertici di carcere e polizia penitenziaria si è già concluso in primo grado, e si è concluso con alcune assoluzioni. Sono ancora aperte invece, e coperte dal segreto istruttorio, le inchieste di Ivrea, Cuneo e Biella.

A incrementare ulteriormente la tensione, sarebbe stato poi un fatto recente. Ovvero la “rimozione” improvvisa dal suo ruolo del sostituto commissario che negli ultimi vent’anni aveva guidato l’ufficio investigativo della polizia penitenziaria in Piemonte. Si chiama Roberto Streva e gli mancano quattro mesi per andare in pensione. Fino a pochi giorni fa era il capo del Nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria. A lui si sono affidati dal 2017 il pm Francesco Pelosi di Torino e i capi delle procure di Ivrea, Gabriella Viglione, e di Cuneo, Onelio Dodero, per gestire le inchieste su presunte torture, favoreggiamenti, depistaggi, falsi e altri reati che sarebbero stati commessi dentro le mura di questi luoghi inaccessibili a molti, e quindi difficilmente controllabili.

Streva, noto per essere investigatore riservatissimo anche con i vertici dell’amministrazione penitenziaria sulle indagini in corso, avrebbe saputo di essere stato rimosso dall’incarico e sostituito, proprio il giorno prima delle perquisizioni a carico dei 28 poliziotti indagati per le presunte torture nel carcere di Cuneo. Perquisizioni che sono scattate lo scorso autunno. Quel giorno Streva aveva chiesto ai suoi superiori la disponibilità immediata di una settantina di agenti per svolgere, nelle ore successive, un’operazione “top secret”, senza specificare altro. La strana circostanza della sua rimozione proprio mentre si organizzava il blitz nel carcere di Cuneo avrebbe però destato qualche sospetto, e spinto gli inquirenti ad agire immediatamente.

La sera prima delle perquisizioni, dalla procura di Cuneo, è stato diramato l’ok per revocare l’incarico del blitz alla polizia penitenziaria e assegnarlo ai carabinieri. Non solo. Le perquisizioni sono state anticipate alla notte stessa senza aspettare fino al giorno successivo. Ed evitando il rischio che gli indagati potessero venire a conoscenza dell’imminente operazione.

Va precisato che Streva, anche se per vent’anni ha comandato il nucleo investigativo, non aveva i titoli per farlo. La sua qualifica era di un grado inferiore a quella necessaria per quell’incarico ma nessuno, a quanto pare, aveva mai sollevato la questione nell’arco dei vent’anni passati. Non è “dirigente aggiunto” come dovrebbe, e del resto soltanto una persona dell’amministrazione penitenziaria attualmente operativa in Piemonte (ad Alessandria) avrebbe questi titoli. E non è stata questa persona ad essere stata trasferita per sostituire Streva.

Il nuovo incaricato è invece Leonardo Colangelo, anche lui senza qualifica di “dirigente aggiunto”, anche se con un grado superiore a Streva, in quanto commissario. Colangelo, che non è mai stato indagato, prima della recente nomina a comandante “pro tempore” del Nucleo investigativo di Torino è stato a capo della polizia penitenziaria del carcere di Ivrea, lo stesso carcere finito al centro di una grossa inchiesta per le presunte violenze sui detenuti con una cinquantina di poliziotti tuttora indagati. Lui è del tutto estraneo all’inchiesta ma nel suo nuovo incarico di capo del Nucleo investigativo regionale della penitenziaria, dovrebbe svolgere indagini e accertamenti disposti dalla procura di Ivrea nei confronti dei suoi ex colleghi.

Forse per questo la procura di Ivrea ha stabilito che l’inchiesta sulle presunte torture nell’istituto penitenziario eporediese le continui a svolgere lo stesso Streva, aiutato da tre unità fidate. Come è sempre accaduto. Streva può farlo perché fa ancora parte del nucleo. E la stessa decisione di continuare ad affidare le operazioni a Streva l’avrebbe presa, per l’indagine di Cuneo, il procuratore Dodero, che anche dopo la “rimozione” del sostituto commissario prossimo alla pensione, continua ad affidarsi a lui (con altre due unità) per il proseguimento dell’inchiesta sulle torture.

Le recenti prese di posizione da parte di alcuni magistrati però avrebbero preoccupato i vertici nazionali del Dap. Tanto da far volare da Roma al Palagiustizia di Torino il capo nazionale del Dipartimento, Giovanni Russo. Un vertice, riservatissimo, su alcune questioni urgenti si è svolto tre mesi fa, ma in pochi ne erano a conoscenza. La riunione, a cui hanno partecipato i capi delle procure di Ivrea, Cuneo e Biella, si è svolta alla Procura generale di Torino. Russo avrebbe chiesto più fiducia ai magistrati piemontesi. Loro avrebbero risposto rassicurandolo. Ma intanto, le indagini più delicate a carico dei presunti poliziotti violenti, restano in capo all’ex comandante rimosso dallo stesso Dap. E nessuno, per ora, intenderebbe assegnarle ad altri.