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di Massimo Massenzio

Corriere di Torino, 19 aprile 2024

Dall’inizio dell’anno le morti “di carcere” in Italia sono state 54 (30 per suicidio, 24 per cause naturali), tre delle quali a Ivrea, Cuneo e a Torino. Tante, troppe, un numero mai visto prima. L’ultima tragedia, in Piemonte, risale allo scorso 24 febbraio, quando Alvaro Fabrizio Nuñez Sanchez, 31 anni, affetto da gravi problemi psichiatrici, si è impiccato nella sua cella al Lorusso e Cutugno. “Una persona che non doveva stare in carcere, non per un premio, ma perché lo aveva stabilito il giudice - ha sottolineato il vicepresidente della Camera Penale Maurizio Basile -. Ma non è stato trovato posto in Rems e dopo mesi era ancora lì, in una struttura inadeguata alle sue condizioni”.

L’ultimo rapporto sul penitenziario torinese racconta il degrado e il sovraffollamento di una struttura dove sono presenti mediamente più di 1.400 detenuti a fronte di una capienza di poco più di mille posti. “Per risolvere il problema non servono spot, ma provvedimenti urgenti - continua l’avvocato Basile -. Il disegno di legge per la liberazione anticipata aspetta l’approvazione del parlamento e lanciamo un appello perché diventi decreto legge, visto che sussistono le condizioni di urgenza”.

Posizioni condivise con il magistrato Andrea Natale che aggiunge la sua posizione su amnistia e indulto: “Provvedimenti che io ritengo necessari, ma non rappresenterebbero comunque la risposta immediata al problema. Bisogna pensare a carceri a numero chiuso, con ingressi calibrati su sistemi di priorità. E poi investire su pene sostitutive”.

Per farlo, però, è necessario creare connessioni con la società “fuori”. E a Torino sono tante le associazioni che si adoperano per offrire prospettive di reinserimento, ma spesso la burocrazia rende difficile anche assegnare borse lavoro: “Ci sono troppi attori con cui interagire e diventa uno sforzo enorme” conferma Angelica D’auvere, moglie di Alberto Musy, avvocato e docente universitario morto dopo 19 mesi di coma seguiti all’attentato del 21 marzo 2012. Per quell’omicidio Francesco Furchì sta scontando una condanna all’ergastolo e dal 2014 il Fondo Musy si occupa di dare una speranza alle persone detenute: “Il reinserimento del detenuto è l’unica forma di giustizia per chi, come la nostra famiglia, ha subito un grave danno a causa della commissione di un reato. Ma il danno può essere riparato solo quando lo Stato garantisce la riabilitazione”.

Secondo il garante, gli avvocati e gli operatori, però, nel carcere di Torino mancano le risorse: “Ci sono 16 educatori e una mediatrice culturale e anche la polizia penitenziaria ha carenze di organico. Sovraffollamento vuole dire meno addetti e meno spazi per fare attività. Servono più colloqui, videochiamate e non trasferimenti che separano le famiglie. Bisogna umanizzare i locali, in particolare quelli per i nuovi giunti. Ripeteremo l’iniziativa il 18 di ogni mese fino a quando le cose non cambieranno”.