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di Paolo Morelli

Corriere della Sera, 19 maggio 2022

Lo sceneggiatore e regista ospite al Salone del Libro: “Un linguaggio nuovo per superare la retorica”. “La distanza fra oggi e la strage di Capaci è pari a quella che separa la Seconda guerra mondiale dalla mia data di nascita. Non è un fatto percepito come lontano, ma di più”. Parte da questo ragionamento Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, classe 1972, nell’affrontare uno dei temi principali del Salone Internazionale del Libro in partenza oggi: l’eredità dell’antimafia. “Uno che nasce ora avrà la difficoltà di capire quanto la lotta alla mafia non sia una cosa passata. La realtà non è un capitolo chiuso”. In occasione dei 30 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, la kermesse letteraria al Lingotto Fiere dedica diversi appuntamenti al tema. L’autore e sceneggiatore palermitano è uno degli autori più attesi.

Pif, al Salone in tanti parleranno di questo tema ai più giovani. Come si fa a spiegarlo a loro?

“Per i bambini e per i ragazzi serve un linguaggio diverso perché le generazioni cambiano, quindi occorre adeguarsi a un nuovo modo di parlare. È uno dei motivi per cui con altre persone (l’associazione culturale “Sulle nostre gambe”, ndr) abbiamo creato la app NoMa, che dà vita alle lapidi per raccontare la storia delle persone uccise dalla mafia. Serve usare un linguaggio più moderno, ma serve anche raccontare questi personaggi come persone normali, perché presentarli come santi laici tante volte allontana. La loro storia è incredibile, proprio perché non avevano superpoteri. Io dico sempre nelle scuole: “leggetene come se fossero vivi”, altrimenti appassisce tutto”.

Questo aspetto come influisce sul racconto?

“È un problema di comunicazione. Rinnovare il linguaggio serve per stare al passo con le generazioni. La cosa importante è che tutto non diventi una storia morta, ma sempre attuale. So che sembra una bestemmia, ma deve essere anche una cosa allegra”.

In che senso?

“Ogni tanto mi scappa e dico che il 23 maggio vado a “festeggiare Falcone”. Una volta lo dissi a Maria Falcone e lei, che aveva tutti i motivi per offendersi, mi diede ragione. Andiamo a festeggiare queste persone perché le ricordiamo in maniera positiva, non attraverso una storia lagnosa, triste e retorica. Ricordiamo che Palermo, la Sicilia e l’Italia sono cambiate grazie a persone come Giovanni Falcone. Sempre nel rispetto di quanto accaduto, esiste una storia positiva”

Lei presenterà oggi Illegal, l’agenda della legalità, con Marco Lillo (Sala Oro, ore 15.30), edita da PaperFirst. Che cos’è?

“Vogliamo dimostrare quanto è rivoluzionario e alternativo rispettare le regole, cioè quello che la mafia non vuole. Questa agenda scolastica ricorda le persone che sono state uccise e ci informa, un’altra cosa che le mafie non vogliono. Informarsi è un’arma pericolosa per loro. Non è un’agenda lagnosa e triste, ma ci permette di raccontare delle storie e capire quanto le persone abbiano cambiato il Paese. È un’agenda che definisco “positiva” perché grazie a queste persone oggi stiamo meglio. Parte del ricavato, peraltro, andrà a finanziare l’app NoMa. La retorica? È giusto metterla, ma crediamo nell’allegria dell’antimafia”.

Che eredità ci lascia l’antimafia?

“Spesso rischia di autodistruggersi, ma ho capito che l’unico modo per non rimanere delusi è pensare che la leadership della lotta alla mafia non venga delegata, dobbiamo darci noi stessi questa leadership, noi guidiamo la nostra lotta contro la mafia. Non mi deve interessare se un tizio, parente di un morto ammazzato, sia antipatico nella vita, mica devo fare un viaggio con lui, devo chiedermi se fa qualcosa di utile o no. Il concetto è che la mafia è il nemico, non dobbiamo implodere altrimenti facciamo un favore ai mafiosi. L’eredità è ricordare che non è una storia chiusa, ma dipende da noi”.