sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di David Allegranti


Corriere Fiorentino, 5 aprile 2020

 

Due detenuti si sono visti negare la richiesta di scarcerazione perché la loro paura di essere contagiati sono secondo il giudice "mere preoccupazioni". La società dei liberi si lamenta, anche comprensibilmente, per le restrizioni delle libertà personali.

D'altronde, si ha la terribile sensazione che il governo non sappia cos'altro fare a parte dire alla gente di stare a casa (per chissà ancora quanto tempo). Ecco, adesso pensate ai 56.830 carcerati presenti nelle prigioni italiane, diecimila in più della capienza e con un tasso di affollamento del 121,75 per cento. Sono in pochi a interessarsi al loro destino, a eccezione di alcune meritorie associazioni, dall'Altro diritto ad Antigone (per non dimenticare naturalmente dei Radicali).

Tra loro ci sono anche, riferisce il Garante dei Detenuti, 42 madri con 48 bambini. Per loro tutte le regole che l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda e tutta la pioggia di Dpcm e ordinanze. Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobottega) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell'ultima settimana.

E cosa c'è da aspettarsi da quella successiva con cui le altre persone vengono obbligate a mantenere una distanza sociale non valgono. Eppure la stessa Oms avrebbe previsto delle regole anche per evitare il contagio nelle carceri. Perché le stesse norme di sicurezza non dovrebbero valere per i detenuti, che sono esposti a un rischio sanitario enorme, tenuti in carceri sovraffollate (altro che social distancing) e senza che il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria aiuti a fare chiarezza sui casi di contagio nelle prigioni?

Tuttavia c'è chi dice, come il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, spesso presente in tv, che in carcere si sta meglio che fuori, anche perché i contagiati in carcere sono "solo 50". Lo ha affermato mercoledì a Otto e Mezzo. Il giorno dopo c'è stato il primo morto a Bologna. A parte il fatto che non si sa se i numeri sono esatti (il Garante dei Detenuti ha parlato di 21 casi), ma davvero paragoniamo senza distinzioni la popolazione detenuta con quella a piede libero? Davvero, come dice Gratteri, "bisogna essere più rigorosi?".

Il procuratore generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi - non esattamente un eversivo - ha spiegato che "il rischio epidemico è concreto e attuale". "Mai come in questo periodo va ricordato che nel nostro sistema processuale il carcere costituisce l'extrema ratio. Occorre, dunque, incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere".

Bisognerebbe avvertire Gratteri e i manettari un tanto al chilo. Compresi quelli che stanno a Pisa, dove due detenuti del carcere Don Bosco, un venticinquenne straniero e un italiano di sessantuno anni, si sono visti negare la richiesta di scarcerazione dal giudice di sorveglianza. Il magistrato respingendo l'istanza presentata per conto di uno dei detenuti, ha scritto nella sua ordinanza, datata 20 marzo, che le "mere preoccupazioni di carattere sanitario dipendenti da un ipotetico contagio virale passivo" non sono sufficienti a concedere la detenzione domiciliare.

"Peraltro nell'ambiente penitenziario appare meno probabile con in (sic!) un ambiente extracarcerario alla luce delle misure adottate in questi giorni a livello amministrativo e giurisdizionale proprio in funzione del massimo contenimento del rischio epidemiologico intramurario". Non erano così tanto "mere" le preoccupazioni dei detenuti, visto che qualche giorno dopo è stato reso noto che al Don Bosco c'erano tre contagiati, un medico e 2 agenti, nel frattempo diventati dieci, tra cui sette agenti di Polizia penitenziaria.

Secondo Romeo Chierchia, segretario generale Ciisa Penitenziaria, a Pisa "il mancato utilizzo dei Dpi ha esposto il personale a rischio. Chi sbaglia deve pagare. La Regione Toscana fa sapere che non ci sono detenuti infetti al coronavirus, ma quanti tamponi sono stati effettuati nei confronti dei 3.473 detenuti? La diffusione è appena iniziata.

Intanto il sindacato richiede, a distanza di 7/10 giorni, il secondo tampone al personale penitenziario di Pisa nonché la priorità sul Test sierologico. Tamponi e test sierologico a tutti gli agenti della polizia penitenziaria sul territorio nazionale". Occuparsi dei detenuti non è un dettaglio aristocratico ma, se proprio ne avete bisogno visto che l'umanità non vi basta, un obbligo costituzionale.