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di Francesca Bria*

La Stampa, 15 ottobre 2023

Le recenti battaglie di Hollywood tra gli sceneggiatori e i robot che minacciano il loro lavoro avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme per milioni di lavoratori europei. Chi proteggerà i nostri diritti dagli algoritmi, che sempre più si comportano come i nostri capi? I nostri luoghi di lavoro, dalle fabbriche agli uffici, sono radicalmente trasformati dalla proliferazione di robot, algoritmi e intelligenza artificiale. Ma sono i giganti della tecnologia, non i lavoratori, a raccogliere la maggior parte dei benefici. Le mansioni lavorative sono sempre più frammentate e distribuite geograficamente lungo la catena del valore globale. Gli algoritmi ora monitorano l’attività lavorativa in tempo reale, ma se non controllati, comportano il rischio di sfruttamento o discriminazione.

Amazon rappresenta al meglio questo cambio di paradigma. La dipendenza dell’azienda dagli algoritmi per monitorare la produttività dei lavoratori è sotto crescente indagine. Gli algoritmi regnano sovrani in Amazon: assumono, valutano e licenziano milioni di persone con poca o nessuna supervisione umana. Un lavoratore, durante uno sciopero a luglio di quest’anno presso un magazzino di Amazon a Coventry nel Regno Unito, ne ha dichiarato l’impatto disumanizzante: “Possono monitorarti al minuto, per ogni attività - è microgestione”. Sono ormai 22 gli scioperi da gennaio. L’azienda è anche coinvolta in altre controversie legali, tra cui una storica causa antitrust per abuso di posizione dominante avviata a settembre dalla Federal Trade Commission degli Stati Uniti e da 17 procuratori generali statali.

Talvolta si sostiene che l’ascesa di nuovi “capi algoritmici”, responsabili dell’automazione di compiti come le assunzioni, l’assegnazione delle mansioni, la determinazione degli stipendi e persino i licenziamenti, possa aumentare l’efficienza, soprattutto in un momento di produttività stagnante. Tuttavia, nel nostro dibattito pubblico è assente il modo in cui l’estrazione dei dati viene utilizzata per aumentare la sorveglianza, rischiando di rafforzare le disuguaglianze razziali, di genere e di classe, e la progressiva perdita del diritto di accesso ai dati prodotti dai lavoratori e raccolti su di loro.

I recenti scioperi dei lavoratori di Hollywood fanno luce su sfide simili. La Writers Guild of America, in un accordo rivoluzionario, ha reso obbligatorio per gli studi cinematografici e televisivi di notificare agli scrittori se incorporano contenuti generati dall’intelligenza artificiale, garantendo che i diritti di proprietà intellettuale degli scrittori rimangano inviolabili. Ciò costituisce un importante precedente, sottolineando la prerogativa dei lavoratori nel determinare come l’IA dovrebbe essere integrata nel loro lavoro.

Lo sciopero di Hollywood, fa seguito a innumerevoli battaglie in cui lavoratori delle piattaforme e sindacati hanno portato l’algoritmo in tribunale. La sentenza che ha plasmato tutte le azioni successive è arrivata nel febbraio 2021, quando la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che gli autisti di Uber dovrebbero essere classificati come “lavoratori”, non come “partner” indipendenti e autonomi. Questa classificazione da diritto a tutele quali salario minimo, ferie retribuite e pause. L’uso di algoritmi da parte di Uber per gestire e controllare i conducenti è stato un fattore chiave nella decisione della corte.

Un tribunale olandese in un altro caso a inizio di quest’anno contro i giganti del ride-hailing Uber e Ola, si è schierato dalla parte dei lavoratori. Il verdetto sottolinea che queste piattaforme devono rivelare ai conducenti i dati sul processo decisionale automatizzato e sulla profilazione dei lavoratori.

A giugno, un tribunale di Palermo ha stabilito che la piattaforma spagnola di consegna di cibo Glovo, leader di mercato in Italia, deve rendere pubblico il modo in cui il suo algoritmo assegna i compiti ai lavoratori. Al centro di questo giudizio c’è la richiesta di trasparenza sul funzionamento di questi algoritmi, fondamentale per difendere i diritti dei lavoratori digitali.

Con la diffusione della gestione algoritmica, sorgono domande urgenti: chi ha il controllo dei dati che alimentano i sistemi di intelligenza artificiale? Che ruolo giocano i grandi monopoli tecnologici nel plasmare questo panorama? La rapida espansione dell’economia digitale mette costantemente alla prova i confini dei tradizionali diritti del lavoro, esacerbando lo squilibrio di potere nella società.

L’Unione Europea ha un ruolo decisivo da svolgere nel garantire che la trasformazione digitale sia in linea con i principi democratici, mettendo al centro i diritti dei lavoratori e la contrattazione collettiva. Sebbene l’attuale assetto legislativo dell’UE offra un esempio di primo piano a livello mondiale per tenere a freno le Big Tech, quando si tratta di proteggere i diritti dei lavoratori, permangono delle lacune. Né la legge sull’intelligenza artificiale, che rappresenta uno dei tentativi di regolamentazione più avanzati al mondo, né la proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforma considerano esplicitamente l’impatto degli algoritmi sulle condizioni di lavoro, né prevedono il divieto di utilizzare algoritmi per il licenziamento dei lavoratori. Per un lavoro digitale veramente equo, l’Europa ha bisogno di una strategia complessiva, che copra sia l’accessibilità dei dati che il controllo democratico degli algoritmi, considerandone l’impatto sulle condizioni di lavoro.

La legge europea sulla governance dei dati, entrata in vigore nel 2022, fornisce una prima soluzione. Consente alle parti interessate di scrutinare le “scatole nere” dell’intelligenza artificiale, ad esempio attraverso la creazione di “intermediari di dati” che agiscono come terze parti neutrali per consentire la negoziazione tra i titolari dei dati (lavoratori) e coloro che li raccolgono (aziende). Affinché gli algoritmi siano veramente trasparenti ed equi, tuttavia i sindacati e gli enti pubblici competenti devono essere in grado di conoscerne il funzionamento e accedere ai dati raccolti dalle aziende, rispettando allo stesso tempo la privacy dei dati e il segreto commerciale. Abbiamo bisogno di un intermediario di dati pubblico e indipendente che serva l’interesse generale: una nuova istituzione democratica per organizzare il lavoro nel XXI secolo. Penso all’istituzione di un “organismo di gestione dei dati per i lavoratori digitali” per dare ai lavoratori un maggiore controllo sui propri dati, stabilendo usi legittimi per le informazioni raccolte nonché il fine per cui possono essere utilizzate.

I lavoratori e i sindacati devono partecipare attivamente alla definizione della governance dei dati e degli algoritmi per limitare il loro impatto negativo e condividere i benefici dell’intelligenza artificiale. Se i lavoratori saranno coinvolti e responsabilizzati, anche la produttività e l’efficienza aumenteranno. Nel contesto della duplice transizione digitale ed ecologica, una forma di governance dell’intelligenza artificiale che contribuisca a garantire l’avanzamento dei diritti dei lavoratori, è più urgente che mai.

*Economista