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di Daniele Capezzone

Libero, 19 novembre 2023

Ma, alla fine dei conti, qual è il politico più temibile, quello di cui occorre davvero diffidare? Per paradosso, non necessariamente un politico in mala fede (quello - diciamo così - scatena istintivamente i nostri benefici anticorpi), ma un politico in buona fede e tuttavia completamente scollegato dalla realtà. Sta proprio qui, in questo mancato legame con la vita reale, con l’esperienza concreta dei cittadini, ciò che condanna senza appello alcuni parlamentari, trasformandoli in guidatori che procedono contromano in autostrada.

Prendete le norme varate l’altro pomeriggio dal governo in materia di sicurezza, contro cui Pd e stampa embedded (cioè quasi tutta) hanno immediatamente preso a sparare a palle incatenate. Per carità: si possono muovere delle osservazioni (lo faremo tra poco anche qui), ma l’unica cosa che un politico assennato non può proprio permettersi di fare è negare o sottovalutare l’esistenza dei problemi affrontati dall’esecutivo. Eppure, leggendo le dichiarazioni di figure di punta del Pd e pure i commenti dei principali quotidiani nazionali, è automatica la sensazione che alcuni onorevoli e numerose prime firme non vivano a Milano o a Roma, ma - c’è da sospettare - a Lugano o a Ginevra. Non può esserci altra spiegazione.

Si prenda la questione dell’occupazione abusiva degli immobili: solo un alieno può sottovalutare il terrore di un proprietario di casa, già tassato e stratassato, all’idea che il suo immobile gli sia sottratto da un inquilino moroso e prepotente.

Oppure si prenda la storia degli ecosvalvolati che bloccano il traffico: solo chi non ha mai frequentato una tangenziale all’ora di punta può ignorare il livello di (sacrosanta) rabbia degli automobilisti. E si prenda infine la questione delle borseggiatrici: è inutile che alcuni commentatori progressisti provino a buttarla sul razzismo, quando è sufficiente farsi un giro in bus o in metro per constatare il fastidio delle persone perbene (avviso a Pd e compagni: inclusa la stragrande maggioranza degli elettori di sinistra) davanti alla prepotenza e al senso di impunità di “signore” che hanno già accumulato dozzine di denunce per rapina e furto con destrezza, e che letteralmente ridono in faccia alle loro vittime, usando il pancione e un bimbo non ancora nato come “attrezzatura” per il proprio crimine recidivo. Come dire: un reato più una bestemmia contro l’umanità.

Ecco, solo politici e commentatori drammaticamente scollegati dalla realtà, tra una vecchietta scippata a cui viene magari rotto il femore e una borseggiatrice incallita, possono vedere la seconda come “soggetto debole”. E invece è successo anche questo.

Ciò detto, però, anche il governo deve fare i conti con una urgenza politica ormai non più procrastinabile. Qui abbiamo convintamente difeso i vecchi e i nuovi interventi in materia di sicurezza: erano e sono sacrosanti. E però serve pure la riforma complessiva della giustizia, di cui per il momento si è vista una prima e ancora parziale tranche. Da settimane ci si dice, e lo fa anche l’ottimo ministro Carlo Nordio nella sua intervista concessa a Hoara Borselli, che arriverà anche una seconda tranche, che tuttavia sarà differita nel tempo. Il ragionamento ha una sua indiscutibile geometria: c’è un rischio di sovrapposizione tra due cambiamenti costituzionali, e la scelta politica del governo è stata quella di partire dal premierato.

A onor del vero, non risulta che, dopo il posticipo - da destra - dell’intervento sulla giustizia, ci sia stata - da sinistra - una maggiore disponibilità a discutere sul premierato. Anzi: si rischia l’effetto paradossale di legarsi un braccio sulla giustizia mentre gli altri ti aggrediscono comunque sul cambiamento della forma di governo. Non solo: poiché pure la separazione delle carriere richiede un cambiamento costituzionale (e dunque quattro passaggi parlamentari), se occorre attendere l’esaurimento dell’altra riforma (cosa che avverrà nel 2025), il rischio è che poi, a fine legislatura, non ce la si faccia a completare l’iter della separazione delle carriere.

Ci permettiamo da qui di avanzare una proposta rispettosa, ragionevole e costruttiva: se, per qualsiasi ragione (ed in primo luogo per il cronoprogramma spiegato dal ministro Nordio), il governo ha delle remore a presentare adesso un suo disegno di legge sulla separazione delle carriere, esistono già proposte di iniziativa parlamentare su quel tema il cui iter è stato avviato: si potrebbe procedere in Parlamento su quelle, coinvolgendo anche il terzo polo, che su questo ha mostrato di convergere con convinzione (una proposta interessante e già incardinata, ad esempio, è quella dell’onorevole Enrico Costa). Anzi, il governo a quel punto farebbe una figura meravigliosa: non imporrebbe un suo testo, ma accompagnerebbe in Commissione e in Aula il dibattito parlamentare delle forze di maggioranza e di quelle di opposizione. Ci sono quindi molte strade per arrivare al traguardo. L’essenziale è non infliggere una delusione agli elettori garantisti. Troppe volte, nelle passate legislature, c’è stata l’occasione di riformare la giustizia e, per una ragione o per l’altra, l’opportunità non è stata colta. Sarebbe davvero un peccato se il film dovesse ripetersi. Confidiamo che ciò non accada.