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di Natale D’Amico*

L’Unità, 29 ottobre 2023

Ci sono molti motivi, e nobili, per essere contrari alla pena di morte. Nessuno tocchi Caino, nei quasi trent’anni che lo separano dal suo primo congresso, li ha sviscerati, descritti, spiegati. Ne ha scritto da ultimo, con straordinaria efficacia, Sergio D’Elia su questo giornale il 15 ottobre. Ve ne sono anche di meno nobili, ma non per questo meno concreti, o meno efficaci per erodere quel consenso niente affatto irrilevante di cui la pena capitale continua sorprendentemente a godere in molte parti del mondo.

Le argomentazioni - diverse da quelle fondanti, in senso lato morali o relative al rapporto fra Stato e individui - contro la pena di morte si arricchiscono ora con i risultati di una ricerca condotta da Alexander Lundberg per il Cato Institute (On the Public Finance of Capital Punishment i Cato Institute - una versione più estesa della ricerca è pubblicata sulla American Law and Economics Review), qui da noi ripresa dall’Istituto Bruno Leoni nella sua newsletter settimanale.

L’indagine è condotta in riferimento al Texas, e si avvantaggia della straordinaria trasparenza che, riguardo ai dati di finanza pubblica e alle statistiche processuali, caratterizza quello Stato. Il riferimento al Texas non è fuorviante perché in rapporto alla popolazione viene lì pronunciato un numero di condanne a morte (0,84 per 100.000 abitanti) non molto diverso da quello medio dei 27 Stati degli USA nei quali questa pena continua ad esistere (0,82). La premessa è quel che già si sa. Mantenere la pena di morte è una scelta costosa anche in termini finanziari. La California, ad esempio, ha speso 4 milioni di dollari per eseguire le 13 condanne a morte effettuate da quando, nel 1978, ha reintrodotto la pena di morte.

Si stima che al North Carolina restaurare la pena di morte per due anni, periodo nel quale nessuna condanna è stata eseguita, sia costato 20 milioni di dollari. Era altresì già noto, e non è certo sorprendente, che i processi che comportano la possibilità di una condanna a morte durano e costano molto di più degli altri: per la maggiore probabilità di ricorso all’appello, per il maggior numero di avvocati coinvolti, per la necessità di audire un numero maggiore di testimoni, per il ricorso ad esperti di varia natura, e così via.

In Texas un processo che comporta la possibilità che venga comminata la pena capitale dura mediamente 768 giorni, un numero lì straordinariamente elevato rispetto a processi per reati diversi. Negli interi Stati Uniti si calcola che un processo con potenziale pena capitale costi almeno 1,5 milioni di dollari più di un processo che preveda come massima pena possibile il carcere a vita. Esisteva una evidenza episodica delle modalità attraverso le quali le Contee, sulle quali gran parte di questi costi aggiuntivi vengono a cadere, finanziano queste spese. Ad esempio la Contea di Jasper nel 1998 ha finanziato un singolo processo contro alcuni sospetti di omicidio innalzando dell’8% l’imposta sulla proprietà.

La Sierra County, avendo scelto di evitare un aumento delle tasse sulla proprietà, nel 1988 ha ridotto le sue forze di polizia per finanziare le spese dei processi per reati che prevedono la pena capitale. Grazie al puntiglioso lavoro di ricerca fatto presso il Cato Institute, ora abbiamo un’evidenza organica e ben più robusta. Siamo infatti in grado di affermare che questi costi aggiuntivi vengono finanziati dalle Contee attraverso un sistematico aumento delle imposte sulla proprietà (in primo luogo sulle abitazioni), nonché attraverso un’altrettanta sistematica riduzione delle spese per la sicurezza pubblica (in media 1,2 milioni per ogni anno in cui si tiene un processo per reati che prevedono la pena capitale).

E abbiamo evidenza del fatto che la riduzione di queste ultime spese accresce il numero di reati diversi da quelli punibili con la condanna a morte, principalmente dei reati contro la proprietà. In conclusione: già sapevamo che la minaccia della pena di morte non è una deterrenza efficace contro il rischio che si commettano reati che la prevedono.

Scopriamo ora che adottare la pena di morte comporta per la generalità dei cittadini un maggiore livello di imposizione fiscale e maggiori rischi per le loro proprietà. Il favore per la pena di morte si conferma basato su argomenti irrazionali, che la ragione può e deve contrastare. Con argomenti etici, ma non solo.

*Magistrato della Corte dei Conti, socio di Nessuno tocchi Caino