sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giovanni M. Jacobazzi

Il Dubbio, 8 novembre 2023

“I Tribunali di sorveglianza non hanno avuto le risorse dal Pnrr e sono stati totalmente esclusi dall’Ufficio per il processo. La digitalizzazione, poi, è all’anno zero: lavoriamo ancora con procedimenti esclusivamente cartacei, non esiste il fascicolo informatico del detenuto e del libero affidato, si fa fatica perfino ad acquisire le informazioni e i documenti che servono per l’istruttoria”, afferma Cristina Ornano, presidente della Sorveglianza di Cagliari, descrivendo uno scenario quanto mai impietoso per l’esecuzione penale nel nostro Paese.

Il sovraffollamento carcerario è un problema ormai strutturale. Allo scorso luglio, i detenuti erano 57.749 a fronte di una capienza regolamentare calcolata secondo le indicazioni della Cedu a 51.403 posti. La serie storica attesta come a partire dal 1992 la popolazione carceraria sia progressivamente aumentata, riducendosi a seguito dell’indulto, ma riprendendo inesorabilmente a crescere fino a superare nel 2010 la soglia dei 65.000 reclusi. Da allora il tasso di sovraffollamento si è abbassato grazie a interventi normativi “sfolla-carcere”, ma tra il 2012 e il 2022 il tasso medio di affollamento è stato pari a circa 57.000 persone.

A breve, però, si supererà il tetto delle 60.000 presenze, riproducendosi una situazione di disagio analoga a quella che nel 2013 aveva comportato la condanna dell’Italia in sede europea per trattamento inumano e degradante. “Un carcere con numeri non elevati e di dimensioni adeguate consente di dare effettività ai principi costituzionali in materia di pena e, in particolare, alla funzione rieducativa della pena. Sovraffollamento, invece, non significa solo minor spazio pro capite disponibile, ma significa minore assistenza sanitaria, minori opportunità trattamentali e meno rieducazione e risocializzazione”, sottolinea la magistrata.

“La riforma Cartabia, al di là degli slogan - aggiunge - non frenerà questo trend se non in modo marginale, perché non incide sulle cause di questo sovraffollamento che sono in parte riconducibili al disagio sociale ed economico sempre più diffuso, ad un welfare sempre più fragile e alla mancanza di sicurezza sociale, ma in parte è dovuto al regime dell’ostatività e degli automatismi. In ogni caso, questi effetti limitati, seppur vi saranno, si potranno apprezzare solo nel medio periodo”. Attualmente sono oltre 90.000 i procedimenti pendenti in materia di richiesta di misura alternativa in attesa di definizione.

“Quando la pena non è ancora espiata non è possibile avere il passaporto, è molto più difficile trovare lavoro e opportunità risocializzanti e si vive in una condizione di incertezza sul proprio futuro. Molte pene vengono poi espiate a distanza di molti anni; ma espiare una pena a 5 o 10 e più dal giudicato per fatti ancor più vecchi, toglie senso alla pena e porta con sé una ulteriore componente”, ricorda la giudice di Cagliari. Vi è poi il capitolo irrisolto delle Rems - Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza - destinate a soggetti riconosciuti incapaci di intendere e volere al momento del fatto per infermità di mente e ritenuti socialmente pericolosi. Sarebbero circa 700, le persone socialmente pericolose e che attendono di essere curate, in attesa di farvi ingresso. Con stime del tutto incerte ed approssimative, circa 50 sono tuttora recluse in carcere.

“È una situazione di gravissima illegittimità perché non v’è alcun titolo che giustifichi il trattenimento in carcere e, tuttavia, ancora recluse perché socialmente pericolose; vi sono poi coloro i quali, destinatari della misura di sicurezza, sono in stato di libertà in attesa di fare ingresso in Rems, soggetti che di regola rifiutano il trattamento terapeutico e che sono socialmente pericolosi, anch’essi posti, spesso senza alcun controllo e monitoraggio, nel limbo di una lista d’attesa che può durare mesi, quando non anni”, puntualizza la magistrata, citando la sentenza 22 del 2022 della Corte Costituzionale che a tal proposito ha sostanzialmente “messo in mora il governo ed il parlamento”. “Il ministro, in luogo di occuparsi di temi come quello della separazione delle carriere e delle intercettazioni che in nulla migliorano la qualità del servizio e la sua efficienza, svolga i compiti che la Costituzione gli assegna, ossia provvedere in ordine ai servizi ed all’organizzazione della Giustizia”, ha quindi concluso la presidente Ornano.