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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 3 novembre 2023

Turni notturni, uno solo può essere responsabile di 600 detenuti, affrontando casi di tossicodipendenza e gravi disagi psichiatrici. Nel nostro Paese ci sono tante carceri sovraffollate, dove gli infermieri operano in condizioni estreme, spesso dimenticati e abbandonati a sé stessi. Il grido d’allarme dei professionisti della salute, lanciato nel recente report del sindacato Nursing Up, mette in luce una realtà altamente critica che si sta trasformando in un pericoloso contesto di abusi e violenze.

Le testimonianze evidenziate nel report sono sconvolgenti: in turni di notte, un singolo infermiere può essere responsabile di ben 600 detenuti. In questa situazione estremamente precaria, gli infermieri devono fare i conti con casi di tossicodipendenza, gravi disagi psichiatrici e individui aggressivi e autolesionisti. La loro missione, quella di fornire assistenza medica e supporto a coloro che sono dietro le sbarre, si è trasformata in un vero e proprio incubo, un inferno quotidiano.

I numeri parlano chiaro: dall’estate scorsa, sono stati registrati otto gravi casi di aggressione fisica ai danni degli infermieri, di cui ben tre contro donne indifese. Questi professionisti dedicati rischiano non solo la loro sicurezza fisica, ma anche l’integrità personale, come dimostrano i tragici episodi di violenza sessuale e tentativi di strangolamento denunciati da Antonio De Palma, presidente Nazionale del Nursing Up.

La carenza drammatica di personale di polizia penitenziaria peggiora ulteriormente la situazione. In molte carceri, mancano reparti di infermeria adeguati, farmaci e attrezzature sanitarie. Le celle stesse sono state adattate come luoghi di cura, rivelando una disorganizzazione e una mancanza di risorse che mettono a rischio la vita e la sicurezza degli infermieri e dei detenuti.

Il presidente De Palma, spiega che negli anni passati erano principalmente gli infermieri appena laureati a intraprendere il compito arduo di lavorare nelle carceri. Oggi, nonostante l’alta richiesta di giovani professionisti nelle strutture sanitarie pubbliche e private a causa della carenza di personale, sono davvero pochi coloro che hanno il coraggio di abbracciare questo ruolo delicato. La mancanza di strumenti e protezioni lascia le donne, prima ancora che professioniste, vulnerabili e a mercé di individui fuori controllo.

L’infermiere che opera nelle carceri si trova quindi a gestire la sicurezza degli ambienti e, al contempo, a garantire il diritto alla salute dei detenuti. Questo avviene in contesti caratterizzati da una complessità assistenziale elevata, dove la presa in carico del paziente è fondamentale, indipendentemente dal tipo di reato commesso. “Al contrario di quanto spesso si pensa - osserva De Palma - il ruolo dell’infermiere all’interno delle carceri non si limita alla mera esecuzione di procedure e interventi standard. Le competenze richieste sono di natura sia tecnica che intellettuale, e comprendono aspetti avanzati, relazionali ed educativi”.

Ciò è confermato dal profilo professionale secondo il Decreto Ministeriale 739/94, che sottolinea l’importanza dell’assistenza di natura tecnica, relazionale ed educativa. La presenza di infermieri con tali competenze è cruciale per garantire una cura adeguata e umana anche all’interno degli ambienti carcerari, dimostrando la rilevanza di una professione spesso sottovalutata e misconosciuta.

Numeri, come detto, allarmanti. Basti pensare che in Campania, per una popolazione carceraria di 6471 detenuti, ci sono meno di 200 infermieri che devono lavorare tra tossicodipendente, casi di profondi disagi psichiatrici e soggetti aggressivi e autolesionisti (in costante aumento sono i tentativi di suicidio). La situazione non è certa più rosea in Lombardia, dove solo nelle quattro carceri dell’area metropolitana di Milano si contano 3.726 detenuti, a fronte di un solo operatore sanitario, di notte, ogni 600 reclusi. In pratica 1 ogni 200 negli orari diurni.