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di Maria Elena Viggiano

Corriere della Sera, 20 gennaio 2023

Sono i cosiddetti “ristretti”: oggi 1.246 rispetto ai 796 del 2018. Aderiscono solo 75 istituti su 190 e mancano gli spazi per studiare. Il progetto della Statale di Milano: “Così abbattiamo la recidiva”.

“Mi sono reso conto che gli studenti ristretti (i detenuti che frequentano corsi universitari, ndr.) studiavano in un contesto di estremo disagio. Lavoravano in carcere di giorno per pagarsi le tasse universitarie e studiavano di notte nelle celle, si procuravano i libri con molte difficoltà e, soprattutto, non erano visti di buon occhio dagli altri detenuti”. A raccontarlo è Stefano Simonetta, docente di Storia della filosofia e responsabile del Progetto Carcere dell’Università Statale di Milano. Perché se il diritto allo studio è da sempre garantito, è pur vero che la situazione delle carceri italiane con problemi di sovraffollamento e mancanza di spazi dedicati, non ne permette la piena realizzazione. E i dati lo confermano.

Secondo il Cnupp (Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari), nell’anno accademico 2021/2022 gli iscritti sono 1.246 di cui 1.201 uomini e 45 donne, nel 2018 erano 796. Un numero in crescita ma ancora troppo basso se si considera che, come riporta il Ministero della Giustizia, i detenuti italiani e stranieri sono 56.524. Inoltre i poli universitari penitenziari sono attivi solo in 75 carceri su 190.

I numeri - In questo contesto si contraddistingue la Statale di Milano che ha costituito il primo Osservatorio italiano sul diritto allo studio in carcere. “È un organo consultivo dell’Ateneo - racconta Chiara Dell’Oca, ideatrice dell’iniziativa e referente del progetto Carcere - nato per far emergere le specifiche necessità delle persone che studiano in carcere coinvolgendole direttamente nei processi decisionali e garantendogli una forma di rappresentanza”. Tra gli obiettivi c’è anche un lavoro di monitoraggio e ricerca, “sistematizzare e interpretare i numerosi dati che riguardano gli studenti ristretti può aiutare a comprendere come lo studio impatti sul percorso dei carcerati e sulla recidiva”. Infatti solo il 38% dei detenuti è alla prima carcerazione mentre il 62% ha già avuto precedenti esperienze di reclusione. Tassi di recidiva alti legati anche alla carenza di iniziative volte a favorire il ritorno in società. Ma garantire il diritto allo studio in carcere richiede tanto lavoro e passione.

Simonetta racconta le varie tappe dalla nascita del progetto Carcere nel 2015 a oggi. Prima di tutto la Convenzione tra l’Università e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia che “ha reso più agevole le attività in carcere anche se all’inizio c’è stato un effetto respingente”. A seguire la cancellazione delle tasse universitarie per i detenuti, la decisione di fare le lezioni in carcere con studenti esterni e la rete di tutor che supporta gli studenti ristretti nel percorso di studi. Oggi la Statale di Milano è il primo ateneo italiano per numero di studenti carcerati, sono 150 iscritti a 35 diversi corsi di laurea afferenti alle 10 facoltà dell’Università. Nel 2015 erano solo 5. Gli studenti appartengono ai diversi regimi detentivi, dall’alta sicurezza alla media sicurezza, 7 sono in regime di 41bis mentre 21 beneficiano di misure esterne. L’impegno degli studenti ristretti emerge poi dal numero di esami sostenuti: nel 2020, anno della pandemia, erano poco più di 100 esami, nel 2021 180, nel 2022 oltre 210. I tutor attivi sono 125.

Il valore - Ma sono soprattutto le testimonianze degli studenti ristretti a evidenziare il valore assunto dallo studio universitario nel contesto carcerario. “Lo studio mi ha aiutato a uscire dal carcere, cominciando così il percorso di graduale ritorno alla vita libera”, dice Rocco, prima persona in Italia a cui è stata concessa la semilibertà per ragioni di studio. Per Ambrogio “lo studio più che aiutare a uscire dal carcere, aiuta a non rientrarvi”, mentre per Corrado, condannato per reati gravi, “da quando ci avete portato i libri noi non abbiamo più alibi”. Di solito sono persone adulte che incontrano i libri in tarda età, per Simonetta “questo la dice lunga sul nostro sistema di istruzione che non offre a tutti la possibilità di studiare”.

L’aspetto più sorprendente e significativo è l’incontro tra studenti ristretti e studenti esterni. “Ho una ottima opinione - commenta Simonetta - dei nostri giovani, è una generazione di grande generosità. Il dubbio iniziale era se avremmo trovato una ventina di studenti interessati ad entrare: le carceri sono un luogo impegnativo, le procedure sono lunghe. Invece è stato un piccolo tsunami”. È quindi un progetto collettivo “per chi è dentro è un primo incontro con il mondo esterno, l’occasione di percepirsi non più solamente come detenuti. Per chi è esterno è un modo per entrare in contatto con il disagio sociale o psicologico, un’esperienza che può cambiare la prospettiva di vita. Il mondo del carcere è come frequentare un quartiere complicato che trasuda dolore ma anche umanità”.