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di Paolo Lepri

Corriere della Sera, 13 agosto 2022

Rzeszów è considerata la “città dei salvatori” e il primo cittadino Konrad Fijolek una sorta di eroe, nonostante la fine dei finanziamenti da parte del proprio governo.

Rzeszów, nella Polonia orientale, a circa cento chilometri dal confine, è stata chiamata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky la “città dei salvatori”. La ragione è semplice. In marzo, subito dopo l’invasione, sono stati accolti oltre 100.000 profughi, soprattutto donne e bambini, in fuga dagli orrori di un conflitto spietato. A dirigere questa operazione umanitaria c’è un sociologo di 46 anni, non iscritto a nessun partito, eletto sindaco come indipendente nel 2021 contro il candidato della destra nazional-populista di Jarosław Kaczynski. Si chiama Konrad Fijolek. È uno dei tanti eroi della resistenza alla volontà di dominio del leader russo Vladimir Putin.

“Abbiamo accolto tutti a braccia aperte”, dice a Der Spiegel il primo cittadino di Rzeszów, spiegando che i rifugiati sono stati sistemati in case private, negli alberghi e nelle pensioni. Secondo i dati più recenti sono 30.000 le persone rimaste (oltre il dieci per cento degli abitanti) mentre altre hanno proseguito il loro viaggio verso occidente oppure (poche) hanno attraversato nuovamente la frontiera. Tutto questo accade in una zona della Polonia, ricorda il settimanale tedesco, ritenuta una roccaforte del nazionalismo e dove sono ancora vivi i ricordi degli orrori di cui si sono resi responsabili gli ucraini nel corso della seconda guerra mondiale. “Abbiamo messo da parte la storia. E la gente ha capito - dice Fijolek - che ora gli ucraini stanno combattendo per la nostra libertà”.

C’è da dire che Rzeszów non è un caso isolato. Sono oltre quattro milioni gli ucraini fuggiti in Polonia dopo l’inizio della “operazione militare speciale” decisa dal Cremlino. Circa la metà si trovano ancora nel Paese. Certo, si è spesso parlato di un “doppio standard”, come ha fatto l’inviato dell’Onu Felipe González Morales, che ha invitato le autorità di Varsavia a concedere permessi di residenza e rifugio anche ai cittadini di altre nazionalità che lavoravano o studiavano in Ucraina. Riferendosi anche alla grave emergenza dei migranti bielorussi che vengono bloccati al confine, il sindaco della “città dei salvatori” assicura che “la Polonia vuole essere un Paese più libero e più aperto nel futuro”.

È molto importante che il peso finanziario dell’assistenza non gravi sulle finanze delle singole amministrazioni, visto che il programma di aiuti del governo è scaduto alla fine di giugno. Lo scenario è ulteriormente complicato dal braccio di ferro con l’Unione europea, che ha congelato i fondi destinati alla Polonia in assenza di garanzie sul rispetto dei valori dello Stato di diritto: uno scontro reso ancora più duro dalle dichiarazioni minacciose fatte in questi giorni da vari esponenti dei partiti di governo. “Se Varsavia non avesse distrutto sistematicamente le relazioni con l’Europa, molte cose - osserva Fijolek - sarebbero più semplici”. Parole chiare, che rischiano di non venire ascoltate.