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di Francesco Grignetti

La Stampa, 28 dicembre 2023

Quattromila detenuti in più in un anno, è l’effetto della sospensione dei benefici introdotti durante il Covid. Il sovraffollamento nelle carceri italiane significa tante piccole cose negative. Gli spazi della cella si fanno sempre più angusti. I letti a castello si arrampicano all’insù. Il bagno della cella va diviso con più compagni di prima. E così, prevedibilmente, aumentano le tensioni. Ormai è un bollettino quotidiano di aggressioni, di tentati suicidi (e drammaticamente sono tantissimi quelli che ci riescono a farla finita), di liti.

La situazione è sempre più al limite. Parlano i numeri: a fine novembre, risultavano 60.116 detenuti a fronte di 51.272 posti regolamentari. Da un anno all’altro, sotto il governo Meloni, si registrano 4 mila detenuti in più. La spiegazione di questo trend è banale. Non c’entrano i nuovi reati, annunciati con toni stentorei, perché le celle non si sono affatto saturate di organizzatori di rave o di scafisti inseguiti lungo l’orbe terracqueo. C’entra piuttosto la misconosciuta sospensione della corsia preferenziale verso i benefici carcerari (che permettevano discreti periodi fuori dal penitenziario) istituita con il Covid.

Le statistiche, però, ingannano: ci sono carceri dove il rapporto tra persone ristrette e spazi è accettabile, altre dove è esplosivo. Il giorno di Natale, per dire, i radicali e alcuni avvocati sono andati alle Vallette di Torino. Uscendo, ha raccontato Mario Barbaro, del partito radicale: “Il sovraffollamento è molto elevato: sono presenti poco meno di 1.400 detenuti su una capienza regolamentare di circa 1.000, dato pressoché stabile nella sua gravità. Anche l’organico di polizia penitenziaria è sottodimensionato: circa 700 agenti rispetto a una pianta organica di circa 900”.

Numeri altissimi. E un generale degrado delle celle. “Si comprende bene il difficilissimo compito che la polizia penitenziaria deve affrontare ogni giorno. Solo quest’anno sono una quarantina le aggressioni fisiche ai danni del personale”.

L’associazione Antigone è preoccupata del clima che si respira nelle carceri. “L’irrigidimento normativo del governo Meloni - spiega il presidente Patrizio Gonnella - è forte, ma data la cronica lentezza della giustizia ne vedremo gli effetti sul carcere solo tra due o tre anni. Nel frattempo, però, avendo sospeso i benefici straordinari del Covid, a parità di entrate si stanno riducendo le uscite perché meno detenuti riescono ad accedere alle misure alternative”.

Il Covid per paradosso aveva permesso anche alcune novità positive: più telefonate e più videochiamate a casa. Sembra poca cosa, per chi è fuori. È tantissimo per chi è dentro. Ma questo ritorno all’indietro ha comportato anche un forte contraccolpo psicologico. Chi frequenta il carcere racconta che si è irrigidita la vita interna e puntualmente sono aumentate le tensioni. Ciò significa l’aumento dei rapporti disciplinari. Di contro, mancando le condizioni della “buona condotta”, molti non possono più beneficiare dei benefici della legge del 1975. La “buona condotta”, infatti, permette dei conteggi molto favorevoli quando si sconta la pena. Si cancellano 45 giorni ogni sei mesi di pena, pari a 3 mesi per ogni anno. Il sovraffollamento, insomma, può essere considerato un effetto e non una causa delle tensioni. Ma ovviamente alla lunga il sovraffollamento diventa causa di altre tensioni. E così il carcere rischia di finire in una spirale che non può portare nulla di buono.

Dice ancora Gonnella: “Nel tempo è anche cambiata l’antropologia del detenuto. C’è meno criminalità organizzata e più sottoproletariato composto da migranti, drogati, sbandati. Gente che non “sa farsi la galera”, come si diceva una volta”.

Gennarino De Fazio è un sindacalista Uil della polizia penitenziaria. Il suo resoconto è drammatico: “Come se non fosse già troppo, si aggiunga l’inefficienza del servizio sanitario, la non gestione dei detenuti con patologie psichiatriche, con malati di mente pressoché abbandonati a sé stessi e, non di rado, trattenuti in carcere senza un titolo giuridico. E il lugubre quadro dell’illegalità del sistema è dipinto”.

La Polizia penitenziaria si trova proiettata in primissima linea, pur con gravi carenze di organico. La sicurezza interna è spesso compromessa. Commenta De Fazio: “Incidono sulla sicurezza i reati commessi in carcere, i rapporti con l’esterno per gli appartenenti alla criminalità organizzata, le risse, talvolta gli omicidi fra i ristretti, le aggressioni nei confronti degli operatori (oltre 4 al giorno quelle più gravi), le rivolte, le evasioni e non ultimo il tragico fenomeno dei suicidi che riguarda sia i reclusi sia gli operatori”. Un quadro devastante.