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di Guido Camera*

Il Dubbio, 27 dicembre 2022

Senza indipendenza della magistratura non c’è Stato di diritto. Parliamo di uno dei valori costituzionali fondamentali, la cui concreta attuazione è garanzia di primaria importanza per la convivenza sociale e lo sviluppo civile ed economico. Le lesioni al principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura sono di varia natura e determinano un’assenza di indipendenza di giudizio nell’esercizio della giurisdizione che è troppo diffusa. Sino a oggi, si è fatto troppo poco per contrastare le patologie del sistema.

Deve essere perciò materia di grande attenzione, soprattutto da parte dell’avvocatura, alla quale poi tocca, nella quotidianità, l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini e delle loro garanzie costituzionali.

Il dibattito pubblico che si è sviluppato nella scorsa legislatura sul tema - che ha prodotto la legge delega n. 71/ 2022 di riforma dell’ordinamento giudiziario, la cui attuazione è uno dei compiti del governo Meloni - si è concentrato sulle “porte girevoli” tra magistratura e politica. È il retaggio culturale della stagione di Tangentopoli, la cui narrazione ha circoscritto il problema dell’indipendenza al conflitto tra poteri e alla giurisdizione penale. Ma il problema è molto più ampio, e trova una delle sue manifestazioni più gravi nel fenomeno dei cosiddetti “magistrati fuori ruolo”, che riguarda l’intero ordine giudiziario.

Le sue ricadute negative sono duplici. Da una parte si sottraggono risorse fondamentali alla giurisdizione nella gestione dei carichi di lavoro; dall’altra, si minano i princìpi costituzionali di terzietà e indipendenza del giudice, che rischiano di essere indeboliti dalle porte girevoli con la Pubblica amministrazione non elettiva ancor di più rispetto alle più conosciute, e generalmente oramai stigmatizzate, porte girevoli con la politica elettiva. Il pericolo, molto concreto, è che si radichi irreversibilmente un corto circuito rispetto al principio di separazione dei poteri: i giudici dell’azione dell’Amministrazione si spostano ai vertici degli apparati di governo e del potere legislativo - che, come tutti sanno, è ormai quasi soltanto di iniziativa governativa - apparentemente per garantire la qualità degli atti normativi, regolamentari o amministrativi. In tal modo, tuttavia, i giudici distaccati scrivono le leggi che sono poi chiamati ad applicare, e possono assicurare alla loro azione amministrativa una sorta di vaglio preventivo di benevolenza da parte dell’apparato giudiziario, formato da colleghi.

La legge n. 71/ 022, per quanto ancor troppo timidamente, va nella giusta direzione: in particolare, l’articolo 5 contiene la delega al governo a ridurre il numero dei magistrati fuori ruolo, sia in termini assoluti, sia in relazione alle diverse tipologie di incarico. In attesa di comprendere come il governo Meloni intenda attuare la delega, si è recentemente verificato un fatto grave. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha infatti deciso di autorizzare il collocamento fuori ruolo di magistrati amministrativi in violazione del limite massimo di dieci anni stabilito dalla legge n. 190/ 2012 (legge Anticorruzione). È stata invocata una pretesa “situazione di complessità del quadro normativo” determinata dalla previsione della delega conferita al governo dalla legge n. 71/2022. È però palese che la delega non ha in alcun modo inciso sull’efficacia del limite dei dieci anni introdotto dalla legge n. 190/ 2012, tanto più che ai fini della delega è stata prevista anche la riduzione a sette anni del periodo complessivo massimo di fuori ruolo dei magistrati anche amministrativi. Nei provvedimenti menzionati è stata invocata una disposizione che ha ammesso, per l’attuazione del Pnrr, regole speciali per il “personale che a qualunque titolo presta servizio presso le amministrazioni titolari di interventi previsti nel Pnrr”: si tratta, come è evidente, di una disciplina indirizzata al personale amministrativo, in servizio presso le amministrazioni maggiormente coinvolte dal Pnrr, e certo non rivolta anche ai magistrati. Un magistrato, anche quando sia “fuori ruolo”, non può intendersi come identificabile quale “personale (…) in servizio presso un’amministrazione”! Egli rimane a tutti gli effetti un magistrato ed è perciò soggetto - con le eccezioni espressamente previste dalla legge - alla disciplina che deriva da tale suo stato.

La questione sollevata dai provvedimenti in questione è della massima rilevanza, venendo messo in discussione uno dei principi essenziali dello Stato di diritto, cioè l’indipendenza della magistratura - di ogni ordine di magistratura. Principio che esige, come ha ricordato più volte anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’osservanza di canoni che assicurino anche l’apparenza di indipendenza, terzietà, imparzialità di chi è chiamato a svolgere una funzione giurisdizionale. A questi fini è fondamentale, fra l’altro, l’osservanza rigorosa dei limiti allo svolgimento, da parte dei magistrati, di attività estranee a quella giurisdizionale, in particolare per quanto concerne quelle svolte dai cosiddetti ‘ fuori ruolo’. Lo svolgimento continuato di attività del genere nuoce al prestigio del magistrato e della magistratura di cui fa parte, avvalorando l’immagine di una persona che sia non occasionalmente al servizio di apparati amministrativi e in stretto collegamento con il potere politico.

Per queste ragioni, Italiastatodidiritto ha presentato una formale istanza al presidente della Repubblica - inviata in copia anche al presidente del Consiglio dei ministri - chiedendogli di intervenire, con le modalità e le forme più opportune, per caldeggiare la revisione di una posizione che offusca gravemente l’immagine della giurisdizione di fronte ai cittadini del nostro Paese. Non è tutto.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, è nostra intenzione organizzare una grande manifestazione, volta a spiegare pubblicamente le ragioni della nostra azione. L’attività di sostegno per i valori costituzionali della giurisdizione è un elemento fondante di qualsiasi concezione responsabile dello Stato di diritto. Perché detti valori possano trovare piena realizzazione, è indispensabile che proprio da parte dei magistrati di qualsiasi ordine, che pur con competenze diverse sono tutti chiamati a testimoniare di fronte ai cittadini il rispetto della legge, sia necessaria una rigorosa e puntuale osservanza delle regole stabilite dal legislatore per l’esercizio della loro funzione. Perché questa battaglia possa essere vinta, è però necessario uno sforzo importante dell’avvocatura. Per tali ragioni, chiederemo al Consiglio nazionale forense di partecipare alla nostra manifestazione con il ruolo da protagonista che gli è riconosciuto da tutte le istituzioni - e in particolare dalla magistratura - quando sono in gioco valori costituzionali di primaria rilevanza in materia di giurisdizione e diritto di difesa.

*Presidente Italiastatodidiritto