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di Ruggiero Corcella

Corriere della Sera, 5 dicembre 2023

Si tratta di connazionali che nel 2023 hanno dovuto chiedere aiuto a realtà assistenziali per ricevere gratuitamente medicinali: quasi l’11% in più rispetto al 2022. È il dato preoccupante dell’11° Rapporto Donare per curare di Banco Farmaceutico. Una fotografia ancora una volta inquietante: nell’anno in corso, 427.177 persone (7 residenti su 10) si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria. Hanno dovuto, cioè, chiedere aiuto ad una delle 1.892 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure raccolti anche grazie all’annuale appuntamento della Giornata di raccolta del farmaco che nel 2024 si svolgerà dal 6 al 12 febbraio. Rispetto alle 386.253 persone del 2022, c’è stato un aumento del 10,6%. È quanto emerge dall’11° Rapporto Donare per curare - Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci realizzato con il contributo incondizionato di IBSA Farmaceutici e ABOCA da OPSan - Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico). I dati sono stati presentati il 5 dicembre 2023 in un convegno promosso da Banco Farmaceutico e AIFA.

Nord Ovest e Nord Est, le regioni più rappresentate - E se si pensa che la povertà sanitaria sia un “problema” solo di alcune aree del Paese, magari quelle nelle regioni del Sud, si rimane una volta ancora delusi: gli assistiti con problemi di salute e in povertà economica risiedono, anche nel 2023, principalmente nelle regioni del Nord-Ovest (36% del totale) e del Nord-Est (23%), in aumento rispetto al 2022, ma so stanzialmente in linea con il triennio 2019-2021. Non è che al Sud, le situazioni di povertà siano miracolosamente assenti. La capacità della Rete di intercettare le persone bisognose è legata alla distribuzione territoriale degli enti caritativi, storicamente più limitata nel Centro, nel Sud e nelle Isole rispetto al Nord. Le diverse possibilità di accesso agli aiuti sono un’involontaria fonte di disparità tra quanti vivono in povertà sanitaria.

Spesa farmaceutica in aumento - Intanto, la spesa farmaceutica delle famiglie aumenta, ma la quota a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) diminuisce. Nel 2022 (ultimi dati disponibili), la spesa farmaceutica totale è pari a 22,46 miliardi di euro, 2,3 miliardi in più (+6,5%) rispetto al 2021 (quando la spesa era di 20,09 miliardi). Tuttavia, solo 12,5 miliardi di euro (il 55,9%) sono a carico del SSN (erano 11,87 nel 2021, pari al 56,3%). Restano 9,9 miliardi (44,1%) pagati dalle famiglie (erano 9,21 nel 2021, pari al 43,7%). Significa che, rispetto all’anno precedente, le famiglie hanno pagato di tasca propria 704 milioni di euro in più (+7,6%). In sei anni (2017-2022), la spesa farmaceutica a carico delle famiglie è cresciuta di 1,84 miliardi di euro (+22,8%). A sostenere di tasca propria l’aumento sono tutte le famiglie, anche quelle povere, che devono pagare interamente il costo dei farmaci da banco a cui si aggiunge (salvo esenzioni) il costo dei ticket.

La salute dei poveri - Rielaborando anche i dati dell’indagine multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”, utilizzati anche nel Rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile), giunto nel 2022 alla sua 11ª edizione, Istat. “La principale fonte di disagio e di in- soddisfazione deriva dalla diffusa percezione di avere “risorse economiche scarse o assolutamente insufficienti”. Sono infatti di questa opinione quasi 19 milioni di persone (33% dei residenti in Italia nel 2021) che sperimentano ogni giorno il gap tra i propri bisogni economici e la possibilità di soddisfarli adeguatamente. Le percezioni soggettive sono distanti dai dati sull’incidenza di povertà (assoluta e relativa) rilevata attraverso i parametri “oggettivi” usati convenzionalmente dall’Istat, che comunque offrono un quadro preoccupante, con 8,7 milioni di individui in povertà relativa di cui 5,6 milioni in povertà assoluta”. “Meno allarmante risulta invece la situazione sul versante della salute, considerata buona e molto buona dal 71% dei residenti (42,27 milioni di individui), né buona né cattiva dal 24% (14,27 milioni), cattiva e molto cattiva dal 4,9% (2,92 milioni). In questo caso si potrebbe dire che gli intervistati rifuggono dalla drammatizzazione, preferendo un’autodefinizione più cauta. Questa posizione “diplomatica” perde, però, decisamente terreno laddove sia chiesto agli intervistati se, nell’esercizio delle loro attività quotidiane, soffrano di limitazioni (gravi o non gravi) di durata superiore a cinque mesi, a causa dei loro problemi di salute. La risposta affermativa coinvolge, in questo caso, il 23% della popolazione, ovvero 12,89 milioni di persone. Una quota non piccola che appare più vicina alla realtà effettiva, contrassegnata dalla diffusione di malattie croniche, che compromettono l’autosufficienza e dilatano il bisogno di assistenza socio-sanitaria. È interessante notare che la problematica delle limitazioni colpisce in misura piuttosto simile sia chi ritiene di avere risorse economiche “scarse o assolutamente insufficienti” (25,2%) sia chi le considera “ottime o adeguate” (22,3%) (dati 2021), a conferma del fatto che le condizioni economiche non mettono al riparo dal declino psicofisico. La disuguaglianza economica torna invece a incidere sulla questione della rinuncia, per ragioni economiche, a visite specialistiche necessarie. Questo comportamento è, infatti, molto presente tra chi si considera economicamente vulnerabile, con un’incidenza sei volte maggiore rispetto a chi dichiara di non avere problemi economici (6,1% vs. 1,6%)”.

Senza il Terzo settore, la tenuta del SSN sarebbe a rischio - Le non profit attive prevalentemente nei servizi sanitari sono 12.578 (e occupano 103 mila persone). Di queste, 5.587 finanziano le proprie attività per lo più da fonti pubbliche. Tenendo conto di questo solo sottoinsieme, il non profit rappresenta almeno 1/5 del totale delle strutture sanitarie italiane (oltre 27.000), generando un valore pari a 4,7 miliardi di euro. Si conferma, infine, la relazione circolare tra povertà di reddito e povertà di salute: la percentuale di chi è in cattive o pessime condizioni di salute è più alta tra chi si trova in condizioni economiche precarie rispetto al resto della popolazione (6,2% vs. 4,3% nel 2021). La qualità della vita legata a gravi problemi di salute, inoltre, è peggiore per chi ha meno risorse rispetto a chi ha un reddito medio-alto (25,2% vs. 21,7%). Le risorse economiche non preservano, di per sé, da gravi patologie (specie all’aumentare dell’età), ma consentono di fronteggiarne meglio le conseguenze. A compromettere lo stato di salute di chi è economicamente vulnerabile, contribuisce la rinuncia a effettuare visite specialistiche, che è cinque volte superiore al resto della popolazione.

“Attraverso il rigore del metodo scientifico dell’Osservatorio sulla Povertà Sanitaria, vogliamo fornire un contributo di conoscenza su alcuni aspetti essenziali per qualificare la nostra società; in particolare, quest’anno ci preme sottolineare che tante persone in condizioni di povertà non riescono ad accedere alle cure non solo perché non hanno risorse economiche, ma anche perché, spesso, non hanno neppure il medico di base, non conoscono i propri diritti in materia di salute, o non hanno una rete di relazioni e di amicizie che li aiuti a districarsi tra l’offerta dei servizi sanitari. Senza il Terzo settore (e, in particolare, senza le migliaia di istituzioni non profit, di volontari e di lavoratori che si prendono cura dei malati), non solo l’SSN sarebbe meno sostenibile, ma il nostro Paese sarebbe umanamente e spiritualmente più povero”, ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico Ets.