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di Riccardo Polidoro

Il Riformista, 1 aprile 2022

Vivere nella speranza di un cambiamento, questo è il destino di chi si occupa di problematiche ritenute, a torto, non rilevanti per il benessere dei cittadini. Ciò avviene, certamente, per coloro che auspicano un’esecuzione penale conforme ai principi costituzionali e al rispetto delle norme in materia. Aspettative, nella maggior parte dei casi, tradite.

Abbiamo vissuto, recentemente, l’esperienza degli Stati Generali, della Legge Delega del Parlamento al Governo, delle Commissioni Ministeriali che hanno, ancora una volta, riacceso l’entusiasmo di lavorare per una giusta causa. Siamo stati, come sempre, delusi. La nomina di Marta Cartabia, il 13 febbraio 2021, a Ministro della Giustizia ha costituito una nuova luce di speranza, conoscendone la storia saldamente ancorata alla nostra Costituzione.

Ma nell’anno trascorso - oltre al piacere di sentire finalmente enunciare parole in linea con quanto sarebbe necessario fare - non si sono visti risultati concreti. Ad oggi continuano gli annunci di riforma del sistema penitenziario, senza che s’intraveda la strada maestra.

Unica eccezione, la nomina del nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che pur mantenendo fede alla prassi d’indicare un magistrato, ha premiato una toga con competenze specifiche e non un inquirente proveniente dalle fila della Direzione Nazionale Antimafia. Se ne cominciano a vedere i risultati, se il Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento Gianfranco De Gesu ha, in questi giorni, inviato una circolare a tutte le Direzioni degli istituti penitenziari in tema di “Trattamento del dimettendo”: cioè su come va preparato alla libertà il detenuto che ha finito di scontare la pena e quali sono gli adempimenti per seguirlo nei primi mesi di vita fuori dal carcere.

Egli ha sottolineato l’importanza dei “Consigli di aiuto sociale” previsti dall’Ordinamento penitenziario. Non sappiamo se tale circolare sia già il frutto di un primo incontro tra il Direttore Generale e il nuovo Capo del Dipartimento, la cui nomina risale solo al 17 marzo u.s., ma è probabile che comunque al DAP si respiri, ora, un’aria diversa. Gianfranco De Gesu, infatti, è un Dirigente Penitenziario di lungo corso, già Capo della Direzione Generale dei Beni e dei Servizi, Provveditore Regionale, prima in Sicilia e Calabria e poi della Toscana e dell’Umbria e riveste l’attuale carica dal novembre del 2020.

In oltre un anno, dunque, non aveva mai sollecitato le Direzioni a dare seguito ad una norma in vigore dal 1975. Gliene va dato comunque merito. Inoltre va evidenziato che il neo-Capo, Carlo Renoldi, ha firmato il commento all’art. 74 dell’Ordinamento Penitenziario, che prevede i Consigli di Aiuto Sociale, nella sesta edizione del testo di Franco della Casa e Glauco Giostra. E la mancata istituzione di tali Consigli è stata, da sempre, denunciata dai Radicali, dalle Associazioni e dall’ Unione Camere Penali che, il 17 febbraio u.s., hanno invitato i presidenti delle Camere penali territoriali a sollecitare i presidenti del Tribunale del capoluogo del circondario di loro competenza a predisporre i necessari atti per la formazione dei Consigli di Aiuto Sociale.

Dopo circa 50 anni, dunque, si può legittimamente sperare che la norma trovi applicazione, mentre il nuovo Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, ha già provveduto - unico in Italia - da alcuni mesi, alla sua attuazione. È talmente rilevante il ruolo affidato dal Legislatore ai Consigli di Aiuto Sociale che la loro assenza dimostra platealmente il disinteresse della politica al reale reinserimento sociale dei detenuti.

Reinserimento che, com’è facile comprendere e come dimostrano le statistiche sulle misure alternative, fa diminuire notevolmente il rischio di recidiva. Il Direttore dell’istituto penitenziario, infatti, deve dare notizia della prevista dimissione del detenuto, almeno tre mesi prima, al Consiglio di Aiuto Sociale che cura che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di raccogliere tutte le notizie occorrenti per accertare i loro reali bisogni.

Il Consiglio studia il modo di provvedervi, secondo le attitudini dei liberandi e le condizioni familiari. Assiste poi il liberato con efficaci interventi a suo favore, per curarne il reinserimento sociale. Con la recente circolare la lenta macchina burocratica dell’Amministrazione si è avviata; a Palermo vi è stato il primo atto concreto; l’Unione Camere penali ha invitato tutti i suoi presidenti territoriali a sollecitare la piena attuazione della norma. La speranza si tramuterà in cambiamento?