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di Piercamillo Davigo

Il Fatto Quotidiano, 12 agosto 2023

Con il testo unificato di tre disegni di legge (C. 745; C. 893; C. 1036) la Camera dei deputati si accinge a modificare per l’ennesima volta la prescrizione. Essa estingue il reato per il passaggio di un certo tempo dalla sua commissione. Con tale testo si ritorna a far decorrere la prescrizione nel corso del processo (con la riforma Bonafede era stata esclusa tale decorrenza dopo la sentenza di primo grado) e si ripristina una trovata a dir poco stravagante, quella di far decorrere la prescrizione nel reato continuato per ogni singolo reato ricompreso nella continuazione.

Secondo l’articolo 81 del codice penale, quando più reati sono commessi in esecuzione di un unico disegno criminoso, la pena per il reato più grave è aumentata fino al triplo, fermo restando il divieto di superare la somma aritmetica delle pene per i singoli reati. Nella prassi la continuazione è applicata in modo molto benevolo, con aumenti minimi per i reati unificati nella continuazione. La stravaganza consiste nel fatto che, ove il disegno di legge fosse approvato, la prescrizione decorrerebbe per i reati già commessi mentre è ancora in programma la commissione degli ulteriori reati progettati. Peraltro, la prescrizione è uno dei principali ostacoli alla ragionevole durata del processo.

In questo Paese senza memoria è sempre necessario ricordare le puntate precedenti per capire per quale ragione l’idea di far nuovamente decorrere la prescrizione durante il processo è sbagliata. Nel 1988 fu approvato il codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989. La caratteristica principale di tale codice era la regola che imponeva, in linea di principio, che le prove si dovevano formare in dibattimento, salvo eccezioni. In precedenza, le prove venivano raccolte nella istruzione del processo e se ne dava lettura in dibattimento. Il nuovo codice si fondava anche sul principio di oralità, tipico del sistema di common law, in quanto le giurie in passato erano largamente composte da analfabeti e quindi non potevano leggere atti scritti. L’oralità segna il ritorno al neolitico, dal momento che la scrittura fu inventata per fissare il ricordo degli uomini. Con l’attuale codice di procedura penale il giudice non ha la minima idea di che cosa c’è negli atti e quindi è anche difficile prevedere la durata dei processi con difficoltà di predisporre i calendari delle udienze.

Ovviamente era facile prevedere un forte allungamento della durata dei processi, ma i fautori di quel codice sostenevano che, mentre nel precedente rito processuale c’era pressoché un unico rito, nel nuovo erano previsti procedimenti volti a ridurre la percentuale del più lungo rito ordinario. Tali procedimenti erano il giudizio abbreviato e l’applicazione di pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento) per i quali era prevista la riduzione della pena di un terzo (per il giudizio abbreviato) o fino a un terzo (per il patteggiamento).

Si citava l’esempio degli Stati Uniti dove erano pochissimi i procedimenti con il rito ordinario (giuria e formazione della prova in dibattimento) e la maggior parte dei giudizi erano sostituiti dal patteggiamento e da processi senza giuria. Peraltro, negli Stati Uniti il 90% degli imputati si dichiara colpevole; in Italia non è neppure richiesta una dichiarazione di colpevolezza o non colpevolezza. I sostenitori del nuovo codice ipotizzavano che non più del 30% dei giudizi sarebbero stati trattati con il rito ordinario. L’obiezione era che, in Italia, nei cinquant’anni precedenti vi erano stati 35 provvedimenti di amnistia (che estingue il reato) e di indulto (che estingue la pena), eccezionali invece negli Stati Uniti. In questa situazione chi avrebbe patteggiato? Se bastava aspettare un anno e mezzo di media per avere un’amnistia o un indulto era evidente che nessuna pena era meglio di una pena ridotta.

Per ovviare a ciò fu cambiata la Costituzione prevedendo una maggioranza elevata per approvare provvedimenti di amnistia e indulto che in effetti si ridussero. Tuttavia, anche grazie alla riduzione dei tempi per la prescrizione operata con la legge ex Cirielli (l’originario proponente che poi la disconobbe), la prescrizione ha preso il posto dell’amnistia e dell’indulto come disincentivo ai riti alternativi. Perché patteggiare se si può ottenere la prescrizione? Per inciso negli Stati Uniti la prescrizione di norma non decorre nel corso del processo. Infatti, la percentuale dei riti alternativi è rimasta sempre ridicolmente bassa e si è allungata moltissimo la durata dei procedimenti penali, con conseguenti condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’uomo per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Condizione essenziale del funzionamento di un processo come quello vigente è che vi siano un numero ridotto di dibattimenti ordinari o comunque in cui le parti consentano all’acquisizione di atti delle indagini preliminari e ciò richiede di ridurre al minimo le scappatoie, conseguenti al decorrere del tempo. In compenso il disegno di legge abolisce l’improcedibilità nei giudizi di impugnazione quando si superino i termini indicati dalla legge (ulteriore stravaganza dal momento che ciò è un ulteriore incentivo a impugnare e far durare di più i processi di appello nella speranza dell’improcedibilità). Ovviamente la improcedibilità sarà sostituita dalla prescrizione. Chi ha simili idee o non sa quello che fa oppure intende sostituire la giustizia con la impunità. Bisognerà pur ricordare al mondo politico che esistono anche le vittime, le quali sono più numerosi dei delinquenti e che, fra l’altro, votano anche loro.