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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2023

L’intesa nella maggioranza: sospensione per 18 mesi dopo la condanna in primo grado e di 12 dopo l’appello che conferma la condanna in primo grado. Prescrizione a doppia velocità tra imputati condannati e imputati assolti. Questo l’effetto dell’intesa cristallizzata in un emendamento al disegno di legge in discussione alla Camera, in commissione Giustizia, e firmato dai capigruppo delle tre forze di maggioranza.

L’accordo raggiunto prevede l’utilizzo della leva della sospensione dei termini per 18 mesi dopo la condanna in primo grado e di 12 dopo la pronuncia di appello che confermala condanna in primo grado. Un blocco che però decade e il periodo trascorso viene conteggiato perla prescrizione complessiva se il deposito della motivazione in appello o Cassazione non arriva prima della scadenza del termine di sospensione. Se con quest’ultima disposizione si intende incentivare l’autorità giudiziaria a utilizzare in maniera efficace la pausa di sospensione per chiudere i procedimenti maggiormente a rischio di estinzione senza abusarne, la sorte dell’imputato, quanto a maturare della prescrizione, dopo il primo grado cambia in maniera significativa per effetto della (eventuale) condanna.

In sintonia evidentemente con la posizione della commissione Lattanzi istituita dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia per la riforma del processo penale, la maggioranza dimostra di ritenere che già la sentenza di primo grado, con la quale si afferma al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato, esprime l’interesse dello Stato a esercitare la potestà punitiva e può giustificare, pertanto, la sospensione del termine, che continua invece a correre dopo un’assoluzione.

Infatti, in primo grado e, poi, per gli imputati prosciolti, a fronte della prosecuzione del giudizio per impugnazione del pubblico ministero (ma il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha già presentato un disegno di legge per ridurre in maniera importante la possibilità di impugnazione dell’accusa) il riferimento torna così a essere la ex Cirielli con termini sostanzialmente allineati, quanto a regola base, con il massimo di pena prevista per ogni singolo reato. Viene cancellata sia la riforma Bonafede con il blocco dei termini dopo la sentenza di primo grado sia il successivo intervento Cartabia, ma esito di un faticoso accordo nella rissosa maggioranza del governo Draghi, che sulla Bonafede innestava l’elemento dell’improcedibilità, sanzione processuale in appello e Cassazione, quando i termini di fase per la conclusione del giudizio non erano stati rispettati. Il voto sugli emendamenti è previsto per la prossima settimana contesto in Aula dal 27 ottobre. Enrico Costa, relatore, sottolinea il “grande passo avanti nell’archiviare la Bonafede e la conseguenza del “fine processo mai”“, puntualizzando di avere presentato un emendamento assai vicino a quello di maggioranza, mentre Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato, considera quella raggiunta “una soluzione equilibrata che dedica la giusta attenzione ai reati di genere (ne è previsto un trattamento a parte, ndr): un accordo importante che dimostra la coesione delle forze politiche di maggioranza su temi che storicamente dividono”.

Fortemente perplessa invece la reazione dell’ex consigliere giuridico di Cartabia, il docente di Diritto penale Gian Luigi Gatta, che mette in evidenza i rischi per gli accordi presi in sede di Pnrr (già oggetto di rinegoziazione nel settore civile) per effetto di un’iniziativa che rischia di compromettere i buoni risultati del meccanismo attuale, centrato sull’improcedibilità. Gli stessi dati del ministero della Giustizia attestano infatti un’assai importante diminuzione dei tempi di durata, con riferimento à 2019, anno chiave per il Pnrr e ultimo pre-pandemia, dei processi proprio in appello e Cassazione (all’altezza del primo semestre, -27% in secondo grado e -39% in Cassazione).