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di Francesco Petrelli*

Il Dubbio, 13 dicembre 2023

Il Disegno di Legge di riforma del regime della prescrizione che si propone di ridisegnare l’istituto secondo profili sostanziali, abbandonando così logiche di natura processuale alle quali l’Unione delle Camere Penali si è sempre detta contraria, a seguito della conclusione della discussione generale in aula, sembra essersi arenato.

Si è appreso che la ragione dell’interruzione dell’iter parlamentare, ormai giunto alla fase finale, che avrebbe previsto solo le dichiarazioni di voto e quindi la votazione finale, deve ascriversi ad una missiva, sottoscritta da tutti i ventisei Presidenti delle Corti Appello, indirizzata al ministro della Giustizia e ai presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera dei Deputati e del Senato. La lettera, con la quale si richiede la necessaria formulazione di una norma transitoria, prospettando in caso contrario ritardi nella trattazione dei processi, che metterebbero a rischio il raggiungimento degli obiettivi per l’erogazione dei fondi del Pnrr, rappresenta una chiara e indebita intromissione da parte della magistratura nelle funzioni proprie del Parlamento, trattandosi di scelte che hanno un eminente contenuto politico.

Il tema non è certo nuovo, ma quest’ultima iniziativa pare segnare un ulteriore passo in avanti, o come meglio sarebbe definirlo, un ulteriore passo indietro, verso il pericoloso superamento del principio della separazione dei poteri tipico delle democrazie liberali, se è vero che, come scriveva Montesquieu, laddove il potere giudiziario fosse “unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore”.

Abbiamo assistito, nel nuovo ordine fondato all’inizio degli anni ‘ 90, alla conferenza stampa del Pool di “mani pulite” che minacciava le dimissioni ove fosse stato approvato un determinato decreto, per poi prendere atto quotidianamente, da anni, dell’atteggiamento dei capi degli uffici di procura che, dalle reti televisive e dalle pagine dei quotidiani, dettano le ricette della buona politica giudiziaria enunciando le ragioni di perenne urgenza che giustificano l’emissione di norme illiberali; e infine, ci siamo dovuti abituare ai pareri resi, anche quando non richiesti, dal Consiglio superiore della magistratura al ministro e poi, praeter legem, perfino al Parlamento su ogni provvedimento in tema di giustizia; risulta assai significativo, ben oltre il valore determinato dalla natura tecnica delle osservazioni elaborate, il peso assunto da ogni intervento dell’Associazione nazionale magistrati sulle scelte del decisore politico.

Non possiamo però accettare, come iperbole patologica di questo percorso di giurisdizionalizzazione della nostra democrazia, una nuova (l’ennesima) forma di invasione degli spazi riservati al potere legislativo, che non è più veicolata da singoli magistrati tramite esternazioni rese al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni né dai corpi intermedi della magistratura associata attraverso attività di politica giudiziaria, bensì direttamente dai vertici delle Corti d’Appello d’Italia come messaggio istituzionale.

I penalisti italiani si rivolgono alla politica perché non ceda i propri spazi e si faccia carico delle proprie responsabilità e senza subire indebite interferenze giungendo in breve all’approvazione di un disegno di legge, che pur non rappresentando certo la soluzione migliore secondo le prospettive dell’Unione delle Camere Penali Italiane, ha il merito di ricondurre la disciplina della prescrizione alla sua naturale dimensione sostanziale. Ogni diversa soluzione avrebbe immediate ricadute, non solo sul provvedimento in corso di approvazione, ma anche sul rapporto tra i poteri dello Stato, già logorato e posto in grave tensione da trent’anni di democrazia giudiziaria.

*Presidente dell’Unione delle Camere penali italiane