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di Lorenzo Pellegrini

Il Riformista, 3 febbraio 2024

Come si legge nella Relazione di accompagnamento, presupposto fondamentale della disciplina in fieri è il collegamento alla funzione rieducativa che sarebbe frustrata se la pena fosse eseguita a troppa distanza dalla commissione del fatto nonché all’oblio che il decorso del tempo determina sulla memoria del reato riducendo progressivamente l’interesse alla sua persecuzione. Col DDL C.893 approvato alla Camera il 16 gennaio scorso e ora trasmesso al Senato col n. S.985 prende corpo la quarta modifica della prescrizione in soli sette anni, dopo la Orlando (2017), la Bonafede (2019) e la Cartabia (2021). Una questione - quella della prescrizione dei reati - che, nel pubblico dibattito, ha assunto centralità sia perché espressione dei rapporti tra politica e giustizia sia perché causa/rimedio alla lunghezza dei processi.

La novità - Lungi dal costituire opera di mero maquillage, il DDL ambisce ad attuare una vera e propria riforma: previa abrogazione sia della cessazione del corso della prescrizione (che rimane però per l’illecito amministrativo contestato all’ente) a seguito della sentenza di primo grado sia dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, introduce un periodo di sospensione, pari a un tempo non superiore a due anni in seguito alla sentenza di condanna di primo grado e non superiore a un anno in seguito a sentenza di appello di conferma della condanna di primo grado, esteso anche al giudizio conseguente all’annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l’appello, cui può aggiungersi quello per altre cause già previste eventualmente sopravvenute.

In particolare, il nuovo periodo di sospensione decorre dalla scadenza dei termini per il deposito delle motivazioni della sentenza ma viene computato ai fini della prescrizione quando la pubblicazione della sentenza intervenga dopo la scadenza del rispettivo termine di sospensione ovvero nel caso di proscioglimento dell’imputato o di annullamento della condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità ovvero di accertamento di nullità.

La funzione rieducativa e il superamento del sistema binario - Come si legge nella Relazione di accompagnamento, presupposto fondamentale della disciplina in fieri è il collegamento della prescrizione alla funzione rieducativa che sarebbe frustrata se la pena fosse eseguita a troppa distanza dalla commissione del fatto nonché all’oblio che il decorso del tempo determina sulla memoria del reato riducendo progressivamente l’interesse alla sua persecuzione: del resto, la prescrizione non ha a che fare direttamente con la durata del processo, dovendosi altrimenti ammettersi l’irragionevole durata di ogni processo che abbia ad oggetto reati puniti con l’ergastolo.

Il fine è, dunque, quello di superare le ambiguità e criticità dell’attuale sistema binario di prescrizione e improcedibilità tornando alle funzioni primigenie dell’istituto. Certo, a sapere che si sarebbe tornati indietro di quasi vent’anni con la prescrizione di cui alla L. 251/2005 (ex Cirielli) che, salvo cause di sospensione (cui si aggiunge la nuova) o di interruzione (sino al tempo massimo) decorre in ogni stato e grado, fa venire in mente il gioco dell’oca perché si ricomincia da dove si era partiti e può anzi lasciare l’amaro in bocca pensando anche al lungo trascorso della saga Taricco che ci lasciamo alle spalle e di cui si è persino già ventilato un bis.

Si tratta però (ed in questo l’intervento manifesta i suoi maggiori pregi) di restituire certezza al quantum di prescrizione in ossequio ai princìpi costituzionali sottraendolo alla discrezionalità del meccanismo delle proroghe e soprattutto alla responsabilità del giudicante che, nella nota mancanza di risorse, si trovi a dover di fatto scegliere i processi da trattare nei tempi. Pur nella condivisione dei principi princìpi di fondo che restituiscono coerenza e linearità al sistema, due appaiono però i nodi nevralgici da affrontare nel merito.

I due nodi da affrontare - Il primo riguarda il rapporto garanzia ed efficienza, visti gli obiettivi di riduzione della lunghezza del processo imposti dal PNRR rispetto ai quali, stando agli stessi dati pubblicati del Ministero della Giustizia, la riforma Cartabia stava dando i suoi frutti: non vengono infatti minimamente toccati i criteri di calcolo della prescrizione (neppure quelli del reato continuato) che, tra interruzioni (specie con aumento massimo in caso di recidiva aggravata o reiterata) e raddoppi tout court, può in teoria ancora raggiungere livelli elevati (ad esempio 20 anni per corruzione in atti giudiziari aggravata o estorsione aggravata, 30 anni per disastro ambientale, 48 anni per maltrattamenti seguiti da morte, 60 anni per sequestro di persona e 72 anni per associazione di stampo mafioso) senza che, peraltro, siano previsti rimedi compensatori o risarcitori in caso di irragionevole durata del processo (come previsto dalla Commissione Ministeriale Lattanzi proprio con riguardo a proposta di riforma analoga a quella del disegno di legge in discussione). Il secondo riguarda invece l’esigenza di stabilire, come richiesto anche nella lettera inviata al Ministro da 26 Presidenti di Corte d’Appello lo scorso 22 novembre, una disciplina transitoria che metta al riparo delle variabili del giudizio in concreto altrimenti rimesso al giudice atteso che, in ragione della natura sostanziale della prescrizione, valgono i principi di irretroattività della legge sfavorevole e della retroattività della legge più favorevole.

Per i fatti rientranti nella L. 203/107 (ovvero commessi dal 4 dicembre 2017 al 31 dicembre 2019), ad esempio, l’individuazione della legge più favorevole dovrà compiersi secondo un giudizio in concreto in quanto, da un lato, la legge previgente prevede termini di sospensione più brevi in appello (un anno e sei mesi anziché due anni) ma, dall’altro, la nuova recupera la prescrizione ove la decisione non sia assunta entro i termini. Quanto ai fatti rientranti nelle LL. 3/2019 e 134/2021, ovvero commessi a partire dal 1° gennaio 2020, la novella dovrebbe sì fungere da lex mitior, ma per i reati con termine di prescrizione residuo superiore in concreto a quello di improcedibilità (due anni in appello e uno in cassazione, peraltro allungati in via transitoria rispettivamente a tre e due per le impugnazioni proposte sino al 31 dicembre 2024) potrebbe essere la disciplina ora abrogata a risultare più favorevole, salvo restringerne al passato l’efficacia temporale in quanto norma processuale sottoposta al vincolo del tempus regitm actum (come già affermato dalla Cassazione). Nessuna questione, invece, per l’estensione ai delitti di lesioni personali e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti del viso in ipotesi aggravate nonché di atti persecutori dell’aumento massimo sino alla metà del termine di prescrizione a seguito di interruzione avente efficacia ex nunc. In conclusione, diversi nodi tra legge e giudice da sciogliere ancora prima di poter dire se l’ennesima modifica si ridurrà a mera contro-riforma ovvero potrà diventare autentica riforma di sistema, possibilmente stabile nel tempo.