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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 1 novembre 2023

Primo sì alla riforma della prescrizione. L’accordo raggiunto nella maggioranza con l’assenso del ministero della Giustizia regge alla prova del voto. A venire respinti sono così tutti gli emendamenti presentati dall’opposizione e passano solo quelli concordati a due riprese negli ultimi giorni fra le tre forze che sostengono il Governo. Il testo del disegno di legge approderà in Aula la prossima settimana, ma la strada sembra ormai segnata per quello che sarà verosimilmente il quinto intervento in 18 anni sul punto.

E se, per restare alle ultime modifiche, nel 2019 l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva promosso il blocco dei termini dopo il primo grado, con l’avvento del Governo Draghi il faticoso punto di equilibrio era stato trovato, ed è la disciplina tuttora in vigore, con la conferma dello stop dopo il primo grado e l’improcedibilità in appello e Cassazione nel caso di mancato rispetto dei termini di fase.

Ora, architrave della riforma, è la distinzione, nel giudizio di primo grado, fra assolti e condannati, dove per i primi i termini ordinari, calcolati sulla base della “vecchia” ex Cirielli, continueranno a correre, mentre per i secondi, scatterà una doppia sospensione, in appello di 24 mesi e in Cassazione di 12, se la condanna sarà stata confermata. Se tuttavia, disposizione che punta a evitare rallentamenti, la sentenza di appello o Cassazione non arriverà entro il periodo di sospensione, allora la prescrizione tornerà a correre, conteggiando anche il tempo oggetto del blocco.

Per i reati caratteristici di violenza domestica, invece, i termini saranno comunque più estesi. Critiche le opposizioni che hanno sottolineato, oltre che i continui rimaneggiamenti di un istituto chiave del processo penale, anche i rischi che l’Italia potrebbe correre nel contesto del Pnrr, visto che la disciplina attuale era stata oggetto sul piano formale di un confronto con l’Europa e poi, sul piano sostanziale, sta contribuendo, sia pure in via indiretta, a migliorare in maniera significativa i tempi di durata dei giudizi penali (diminuzione del 27% in appello e del 40% in Cassazione, con riferimento al 2019, anno pre-Covid e parametro per il Pnrr).

Così, se per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove la riforma permette di archiviare anni di modifiche motivate soprattutto da ragioni ideologiche, “mai più cittadini indagati e imputati a vita secondo la sgrammaticata parentesi bonafediana e contro ogni principio garantista”, Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd, osserva che “sul Pnrr è stato raggiunto l’obiettivo sul disposition-time, i magistrati hanno riorganizzato il lavoro, sono stato abbattuti i tempi nei giudizi in appello e nei tribunali. Non riteniamo necessaria una riforma che allunga i tempi e pone problemi sull’applicazione”.