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di Antonio Mattone

Il Mattino, 17 gennaio 2023

Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino e marito di Lucia, una delle figlie del giudice ucciso dalla mafia corleonese il 19 luglio 1992, come ha saputo della cattura di Messina Denaro?

“Ho letto un post scritto da un giornalista palermitano, una persona che stimo e ritengo attendibile e non ho avuto dubbi: la latitanza di Matteo Messina Denaro era finita”.

Che giorno è oggi per la famiglia Borsellino?

“Oggi è stato un giorno bello ed importante. Siamo felici, commossi ed emozionati. Con la cattura del boss si chiude definitivamente il cerchio sulla mafia corleonese. Un giorno che capita proprio nell’anniversario del nostro matrimonio, non potevamo avere regalo più bello”.

Possibile che il boss malato si sia consegnato?

“Ritengo che aver catturato l’ultimo rappresentante di quella compagine fedele alla politica di Totò Riina debba costituire per l’Italia intera motivo di enorme soddisfazione. Non è il caso di dar voce a sterili retropensieri. Piuttosto vorrei concentrarmi sulla cattura in quanto tale, sul fatto che stato assicurato alla giustizia un potente capo di Cosa nostra. Non voglio partecipare alle sottovalutazioni e minimizzazioni dello sforzo degli investigatori e dei magistrati che li hanno coordinati”.

Colpisce che sia stato preso proprio a Palermo?

“La cattura di Messina Denaro nel capoluogo siciliano ha un valore simbolico fondamentale perché un capo che si rispetti non abbandona mai il territorio. Inoltre è stato preso nel pieno esercizio delle sue funzioni. Il messaggio che vuole dare ai suoi accoliti è un messaggio rassicurante: restare a Palermo, con il grande rischio di farsi arrestare è la conferma dello spessore e della statura dell’ultimo dei capi corleonesi. Certamente non gli mancavano i mezzi e le possibilità di farsi curare all’estero, in luoghi più sicuri, ma così avrebbe perso quel prestigio che gli ha permesso protezioni e una latitanza così lunga”.

Come stato possibile che boss sia potuto sfuggire alla giustizia per decenni?

“Cosa nostra è stata un’organizzazione maledettamente complessa e ramificata. I trent’anni di latitanza possono trovare la loro ragione d’essere in una serie di circostanze: dalla morfologia del territorio alle rigorose regole di compartimentazione che l’organizzazione si dette per fronteggiare il fenomeno del pentitismo. In ultimo, reputo fondamentale l’esistenza di un mondo di mezzo legato a singole figure, non ancora individuate della politica, dell’imprenditoria e dello Stato che probabilmente con quel mondo hanno intessuto rapporti di contiguità e che hanno agevolato il perdurare di questa latitanza”.

Ha mai perso fiducia nello Stato?

“Oggi vediamo ripagata la nostra fiducia nelle istituzioni dello Stato, che dopo quella stagione, pur avendo commesso errori, ha comunque mostrato di voler combattere questo fenomeno. E’ una giornata che va festeggiata perché si intravede la fine di un’epoca dove non solo sono state colpite singole famiglie, ma l’intera collettività. Non credo sia azzardato paragonare questa cattura, con riferimento all’egemonia corleonese sull’intera organizzazione di Cosa nostra siciliana, con quella di Adolf Eichmann, catturato quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, con cui si concluse il processo di Norimberga”.

Che prospettive vede per la sua terra?

“Cominciamo finalmente a sperare di poter raccogliere il frutto di quei sacrifici, nella speranza che il nostro Paese sia sempre meno condizionato ed oppresso dalla presenza asfittica della criminalità. Le nuove generazioni potranno sicuramente godere del frutto di quel seme di sangue che tanti servitori dello Stato hanno offerto generosamente, nella speranza di un’Italia migliore, che oggi si inizia ad intravedere”.