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di Liana Milella

La Repubblica, 4 novembre 2023

La legge Orlando lo aveva previsto. Adesso la marcia indietro. Il 14 dicembre scade la possibilità di modificare ancora il decreto Cartabia. Bisogna partire dal vocabolario dei cosiddetti garantisti per rendersi conto di come i giornalisti siano ormai destinati a finire in futuro sempre come “i presunti colpevoli”. Alla faccia proprio della presunzione d’innocenza, sbandierata di continuo dai garantisti, che però non deve valere per la libera stampa. E guardiamo allora le espressioni che vengono usate, alla vigilia di una data, il 14 dicembre, in cui scade la possibilità di inasprire ulteriormente la già terribile legge sulla presunzione di innocenza, approvata a dicembre di due anni fa e che già tratta i giornalisti come presunti colpevoli.

La norma della legge Orlando che consente ai cronisti di pubblicare liberamente le ordinanze di custodia cautelare, viene definita, dal giornale che si proclama garantista per eccellenza come quello del Consiglio nazionale forense che si chiama Il Dubbio, un “clamoroso vulnus”. E ancora “il cavallo di Troia della presunzione d’innocenza”. Perché “in questi atti giudiziari fatalmente confluisce tutta la massa di informazioni sulle quali pm e polizia giudiziaria sono tenuti a mantenere il segreto durante le indagini” come ha scritto il collega Enrico Novi il 31 ottobre.

Stiamo dicendo che quando un pubblico ministero chiede un arresto, che viene autorizzato dal giudice per le indagini preliminari, non dovrebbe squadernare nella richiesta tutti gli elementi che giustificano un passo così carico di responsabilità come chiedere le manette per una persona. Forse dovrebbe nascondere questi atti, per la paura che vengano poi pubblicati dalla stampa. E anche la stampa, a sua volta, dovrebbe avvolgere in una coltre di silenzio tutti i documenti che giustificano un’indagine penale, che portano, ovviamente non sempre, a un arresto, negando all’opinione pubblica la possibilità di conoscere le pezze d’appoggio di un’inchiesta.

Questo perché la parola che definisce la libertà di raccontare un fatto diventa una parola offensiva, e cioè “la gogna”. Una tesi che ne nasconde un’altra, i pm paragonati a dei vampiri che sopravvivono solo se succhiano il sangue degli arrestati. Altrimenti, proprio come i vampiri, rischiano di morire. Ovviamente una teoria che non ha alcun fondamento, se non il punto di vista degli avvocati, che ovviamente fanno il loro mestiere, e vedono innocenti dappertutto (anche perché sono pagati per guardare il mondo da questo angolo visuale).

Il paladino della legge sulla presunzione d’innocenza è il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa. Fu proprio lui, nella scorsa legislatura, che la sottopose come un passo inderogabile all’allora Guardasigilli Marta Cartabia. Purtroppo non vi fu grande interesse mediatico su una legge come questa. Repubblica ha scritto numerosi articoli, anche critici, e tra questi mi piace ricordare un’intervista con l’ex procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, nonché avvocato generale in Cassazione, in cui proprio scorrendo le domande emergono i dubbi su una legge obiettivamente pericolosissima per la libertà di fare cronaca giudiziaria. Rossi non la pensava e non la pensa così, e per questo ripropongo qui quel confronto.

Ma dubbi, perplessità, timori e preoccupazioni, non hanno prodotto un più ampio interesse mediatico. Forse la nostra categoria non si è resa conto delle conseguenze che una legge come questa potrà avere. I magistrati hanno cercato di protestare, perché anche il loro potere dal punto di vista del racconto di un’indagine è stato fortemente limitato: no alle conferenze stampa, sì soltanto quando c’è un “interesse pubblico”. Ma qual è quell’arresto, di un cittadino presunto innocente ovviamente, che non deve essere raccontato all’opinione pubblica?

Da parte di magistrati che si assumono la responsabilità di aver emesso un ordine di cattura, con tutto quello che può comportare non solo per la vita dell’arrestato, ma anche per la sua famiglia e per il suo contesto sociale. È del tutto sbagliata l’immagine che volutamente si vuole dare della stampa italiana, come cinicamente “manettara”, ossessionata solo dalla voglia alla Dracula di sangue e di arresti. La voglia di “sputtanare” qualcuno. Ebbene, non è così. I giornalisti hanno la testa sulle spalle. E quando scrivono - ovviamente qualche caso anomalo ci può stare - avvertono la responsabilità di quello che raccontano.

E invece adesso cosa propone il responsabile Giustizia di Azione Costa sollecitando il Guardasigilli Carlo Nordio, che naturalmente può spendere in questo modo la parola garantismo, di cui fa un costante abuso? Vuole stringere ancora di più i cordoni dell’informazione, vuole fare un passo indietro rispetto alla legge dell’ex Guardasigilli Andrea Orlando che nel 2017 dette il via libera alla pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, l’atto che viene consegnato all’arrestato e al suo avvocato, la base stessa di un processo, destinata a diventare invece un foglio clandestino.

Non so se Costa, e chi la pensa come lui, si rende conto del danno che questo può provocare in primo luogo proprio all’imputato o all’arrestato, perché la stampa non può ignorare un fatto di cronaca, e quindi non disponendo di documenti ufficiali sarà costretta a pubblicare le poche notizie che riuscirà a racimolare clandestinamente. Vietato pubblicare l’ordinanza di custodia. Vietata la conferenza stampa dei magistrati. Che cosa resta a questo punto? Trovare una gola profonda che fornisca delle informazioni. Cioè la via peggiore che può esistere. Ma Costa invece non la pensa così e definisce le ordinanze di custodia “un’arma formidabile nelle mani di chiunque voglia allestire la solita gogna”. E per questo chiede che Nordio, entro il 14 dicembre, vieti la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.

Purtroppo questo è un autunno molto caldo per la stampa. A rischio c’è la sua stessa ragione di vita, la libertà di raccontare le notizie. Perché, guarda caso, il Senato si occuperà anche delle norme sulla diffamazione che prevedono già decisioni draconiane, come hanno denunciato il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli e il presidente della Federazione nazionale della stampa Vittorio Di Trapani con la segretaria Alessandra Costante. Multe pesantissime, fino a 50mila euro; obbligo di inseguire il processo nei tribunali d’Italia laddove risiede l’autore della denuncia; rettifica immediata senza possibilità di replica. Inutile dire che in tempi come questi, in cui i cordoni della borsa degli editori sono strettissimi, norme simili sono letteralmente liberticide. Nessun editore, di fronte a multe così pesanti, sarà più di manica larga. Per la semplice ragione che non se lo potrà permettere. E allora poiché abbiamo un presidente della Repubblica che ha a cuore la libertà di stampa garantita dall’articolo 21 della Costituzione, è necessario accendere un faro, il più potente possibile, per tutelare la libera informazione contro i tentativi reiterati di tappare la bocca ai giornalisti.