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di Gian Luigi Gatta*

Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2023

La giustizia è sempre più al centro del dibattito pubblico e dell’agenda di governo. Tra le tante riflessioni sulla centralità della giustizia ve ne sono almeno due a mio avviso meritevoli di essere messe a fuoco.

Prima riflessione. Ad essere centrale è solo o per lo più la giustizia penale. Della giustizia civile, amministrativa e tributaria, se ci facciamo caso, si parla assai meno. Perché? Non perché la giustizia penale sia più importante o bisognosa di maggiori attenzioni, ma perché meglio si presta a mettere da parte i tecnicismi e ad appartenere alla nostra quotidianità, come testimonia l’ampio risalto mediatico della cronaca nera e di quella giudiziaria.

In questo senso un grande giurista tedesco, Wilfried Hassemer, apriva anni fa un bellissimo saggio (Perché punire è necessario, Il Mulino, 2009) scrivendo che il diritto penale è un po’ come il calcio: d appassiona e pensiamo di esserne esperti.

Questo appartenere del penale alla quotidianità, questo suo prestarsi a valutazioni istintive su ciò che giusto o è ingiusto, fa sì che la politica ne sia particolarmente attratta, eleggendolo sempre più a terreno di acquisizione di consenso elettorale e di scontro tra visioni diverse, come quelle presenti nelle forze politiche, nella magistratura e nell’avvocatura. rischio però è che il penale possa diventare un fattore di distrazione di massa, distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governanti da temi non meno rilevanti: l’economia, l’impresa, il mercato del lavoro, il fisco, la scuola, l’università, la ricerca scientifica, l’ambiente, le infrastrutture, il calo demografico, il costo della vita, la sanità, e così via.

Seconda riflessione. Ad essere centrale, quando si parla di giustizia, è sempre il tema delle riforme, che ogni governo ritiene necessarie e che, in effetti, sono sempre più continue. I tempi in cui il diritto era un corpo normativo relativamente stabile sono lontani Eppure, come ogni servizio pubblico la giustizia, prima ancora che di riforme, ha bisogno di essere amministrata e finanziata per far fronte ad esigenze ordinarie e straordinarie, come quelle imposte dagli obiettivi del Pnrr, che richiedono di ridurre entro il 2o26 del 25 per cento i tempi medi del processo penale e del 40 per cento quelli del processo civile. Perché si parla sempre di riforme e poco di amministrazione e finanziamento della giustizia?

Perché le riforme sono politicamente identitarie: pensiamo alla legge spazzacorrotti e alla legge sulla legittima difesa domiciliare, nel governo giallo-verde di Conte, o al disegno di legge del Ministro Nordio, del quale tanto si parla in questi giorni. Gestire e finanziare la giustizia, invece, è compito routinario che i ministri si passano di mano come un fardello e che è difficile perché mancano le risorse. Le riforme invece sono per lo più a costo zero e, quando prevedono impegni di spesa - come nel caso del gip collegiale per la custodia in carcere, nel progetto Nordio, o della giustizia riparativa proposta dal Ministro Orlando e realizzata dalla Ministra Cartabia poi - incontrano mille difficoltà. Sia chiaro, è del tutto naturale che i governi e i ministri politici perseguano disegni riformatori.

Dovrebbe però essere altrettanto naturale dare pari importanza, nel dibattito pubblico e nella comunicazione del Ministro, ai temi del finanziamento della giustizia e agli interventi strutturali indispensabili per migliorarla come servizio pubblico. I grandi assenti nel dibattito pubblico sono proprio i temi delle risorse e delle infrastrutture, che poi sono i più avvertiti da magistrati, funzionari amministrativi e avvocati.

Penso ai vuoti di organico dei magistrati - quelli reclutati quest’anno, circa 200, coprono a malapena il numero di quelli che andranno in pensione; penso alla drammatica carenza del personale amministrativo, dai cancellieri ai funzionari degli uffici dell’esecuzione penale esterna, agli educatori, ai medici e agli psicologi in carcere, teatro di continui suicidi. Penso alle infrastrutture tecnologiche necessarie per ammodernare il processo: banche dati, sistemi informatici di gestione dei fascicoli, sistemi per la registrazione audio e video da installare nelle aule di giustizia peri collegamenti da remoto. Tutte cose che servono a fare funzionare meglio la giustizia come servizio peri cittadini.

Tutte cose che costano e che devono essere finanziate da parte del Governo, anche attraverso i fondi - vitali - del Pnrr, che nel dopo Cartabia è quasi scomparso dal dibattito pubblico sulla giustizia. Se si stemperassero i toni del confronto politico e ci si concentrasse di più sulle esigenze dell’amministrazione quotidiana, da un lato, e su un sereno e meditato confronto su possibili riforme aperto ai mondi della magistratura, dell’avvocatura e dell’accademia, come accadde quando fu scritto il codice penale de11930, ne guadagnerebbe la giustizia. E forse l’Italia finirebbe di essere il Paese che, nel Consiglio d’Europa, ha ancora l’imbarazzante primato per la lentezza dei processi.

*Professore ordinario di Diritto penale Università degli studi di Milano