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di Maurizio Crippa

Il Foglio, 15 dicembre 2023

Quel concetto che, quando non eravamo barbari, si chiamava giustizia sostanziale - la possibilità di prescindere dalla norma giuridica per adeguarsi con maggiore aderenza al valore etico che la giustizia deve difendere - nello scadimento barbarico dei nostri anni è divenuto un sostanziale populismo penale, in cui l’emozione (non sempre ben riposta) ha la meglio sul resto.

Il caso di Alex Pompa (anzi Cotoia, avendo cambiato il cognome), il giovane che nel 2020 a Collegno uccise il padre violento e che fu assolto in primo grado, ma ora è stato condannato in appello (6 anni, 2 mesi e 20 giorni) illumina un pericoloso pattinaggio concettuale. E invita a due considerazioni. Era legittima difesa e lo avevano assolto!, hanno strillato i giornali, schierandosi contro l’ingiustizia sostanziale della condanna. Non è esattamente così, ma questa è la seconda considerazione. La prima e più generale: invece di indignarvi per la condanna in appello di una persona giudicata prima innocente, dovreste riflettere sul perché questa prassi - che, tanto per dire, priva ora Cotoia di due gradi per difendersi - sia possibile.

Come sostengono i giuristi liberali, a fil di logica una sentenza di innocenza, formulata “oltre ogni ragionevole dubbio”, non può essere ribaltata se non cancellando quel “ragionevole dubbio” in precedenza riconosciuto. La legge Pecorella nel 2006 provò a introdurre il divieto (per il pubblico ministero) di impugnare le sentenze di assoluzione. Ma la Consulta la bocciò per una questione più di metodo che, appunto, di sostanza.

Ma dell’assurdità di ri-processare un innocente si continua a discutere. Com’è che gli indignados si svegliano solo quando il caso ha una rilevanza emotiva e mediatica? Secondo aspetto: il pm del primo grado si disse “costretto a chiedere 14 anni di carcere”, in base alla legge.

Ma la Corte d’Assise scelse l’assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”, cosa persino diversa dalla legittima difesa. Ora, come nel caso del gioielliere Mario Roggero condannato per l’uccisione di due rapinatori poiché non si trattò di legittima difesa (il pendolo dell’indignazione quella volta era correttamente pro giudici) anche in questo caso è apparso impossibile, per i giudici, applicare quel principio. Il giovane uccise il padre con 34 coltellate, usando coltelli diversi, in un tempo che eccede l’imminente del pericolo.

La sentenza, mite, non deriva dall’idea che “in fondo aveva ragione”, come detto malamente; sono state considerate tre attenuanti, tra cui la semi-infermità mentale, la provocazione (indubbia, del padre) e le generiche. Proclamare i colpevoli, o in questo caso gli innocenti, a furor di popolo e di stampa, non è una grande idea. Forse Cotoia non doveva essere processato di nuovo. Ma i tutori del diritto, dov’erano?