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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 27 febbraio 2024

La legale e le due psicologhe sono accusate di falso e favoreggiamento. Il 4 marzo sciopero dei penalisti milanesi. Uno, Elvezio Pirfo, è il perito d’ufficio incaricato dalla Corte d’Assise, l’altra, Alessia Pontenani, è l’avvocato che difende l’imputata, ed entrambi condividono il punto di partenza, e cioè la pressione mediaticamente “ambientale” attorno al processo Pifferi. Ma è il giudizio sulle conseguenze che li divide. Per l’avvocato pesa la scelta del pm De Tommasi di indagare per falso e favoreggiamento, in pieno processo e parallelamente al processo, le due psicologhe che avevano avuto con Pifferi i colloqui e i test posti poi alla base della richiesta di consulenza psichiatrica: “Con questa perizia è ergastolo sicuro — polemizza Pontenani — ma confido nella Corte d’Assise. Ritengo che il clima sia ormai viziato dal fatto che il pm ha indagato me e le psicologhe, cosa che ha intimorito tutti”.

Per il perito Pirfo, invece, è vero che la “spettacolarizzazione mediatica avrebbe potuto costituire un’indiretta pressione psicologica sul perito e sui consulenti di parte”, ma “il rischio che si creasse un circolo vizioso tra il tipo di reato e un’automatica psichiatrizzazione delle motivazioni o valutazione moralistica non si è realizzato, perché l’attività si è svolta in maniera professionalmente serena”.

Pontenani non vuole parlare dell’inchiesta che la riguarda, ma indica la nota con la quale proprio lunedì l’Ordine degli Avvocati di Milano ha protestato per una “gravissima ingerenza nell’attività difensiva”, aderendo all’astensione dalle udienze indetta il 4 marzo dalla Camera Penale, e arrivando ad “auspicare un intervento” del procuratore Marcello Viola “affinché adotti le opportune iniziative volte a salvaguardare il diritto di difesa e il giusto processo”.

Intanto Pifferi dal carcere non si riconosce nel quadro delineato dalla perizia: “Non sono un’assassina e non ho mai voluto fare del male a mia figlia”, riferisce Pontenani. Per il perito, invece, “al momento dei fatti ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno”. E la Pifferi sincera sarebbe quella che al perito ha raccontato come in quei giorni la propria “esigenza” fosse quella di “cercare un compagno che mi facesse da marito, da papà per Diana e anche per me”. Solo che poi “succede che, anziché tornare a casa, i giorni si prolungano. Perché la mia mente aveva come dimenticato il ruolo di essere mamma, si era come spenta verso la bambina”. Tanto che quello che è accaduto “non mi abbandonerà mai, ci penso spesso sì, mi sento una cattiva mamma (...) dolore, molta rabbia verso me stessa”.