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di Cesare Maffi

Italia Oggi, 20 aprile 2022

Per il 12 giugno molti ritengono che non si riesca a ottenere la maggioranza dei votanti. La politica interna è compressa dalla guerra in maniera abnorme, giustificata se non altro dalle minacce economiche conseguenti. Fra i temi trascurati nella comunicazione rientrano le elezioni comunali, che altrimenti avrebbero trovato ben altra accoglienza, vuoi per l’estensione (un migliaio di comuni, fra i quali 26 capoluoghi provinciali), vuoi per l’imminenza (mancano meno di due mesi al primo turno), vuoi per l’odierna e faticosa ricerca di candidati e firme (in entrambi gli schieramenti e fra gli estranei), vuoi per la successiva campagna elettorale. Ancor più si capisce perché l’attenzione sui referendum sia scarsa o quasi nulla.

Il 12 giugno, difatti, sono previsti cinque appuntamenti referendari. Ufficialmente sono proposti da vari consigli regionali retti dal centro-destra; alle spalle, tuttavia, sta in origine l’accordo fra Lega e radicali per raccogliere le sottoscrizioni, in modi e completezza rimasti ignoti. I due partiti puntavano a sopprimere le firme per i magistrati candidati al Csm; a ridurre la custodia cautelare; a separare le funzioni fra giudici e pubblici ministeri; ad abrogare la legge Severino, che, di là delle non poche e scarsamente encomiabili disposizioni, rimane legata a un evento storicamente straordinario, quale la cacciata di Silvio Berlusconi dal Senato; a valutare la professionalità dei magistrati da parte degli avvocati. I temi, come si comprende, non sono di scarso rilievo e, in linea puramente teorica, potrebbero richiamare al voto favorevole la maggioranza di chi si esprime. Occorre però che alle urne si rechi la metà più uno degli iscritti al voto, fatto più che ostico.

Varie formazioni giudicano irraggiungibile il quorum di presenti. I motivi abbondano. Riesce difficile far comprendere quesiti in sé astrusi. La loro presentazione non sempre pare accetta ai cittadini, tanto che i promotori hanno fatto ricorso a un’etichetta unica: la giustizia giusta. La riduzione della partecipazione al voto alla sola giornata di domenica rappresenta un altro ostacolo. Formalmente essa è corretta, perché risponde a leggi non sempre rispettate, come avvenne di recente per proseguire l’apertura dei seggi a causa del morbo. Ci sono stati partiti, come la Lega e Fi, che si sono fatti avanti chiedendo che le sezioni elettorali funzionino pure il lunedì, senza però ottenere finora riscontro. Per disposizioni simili, di solito ottenute tramite un decreto-legge, occorre un’estesissima adesione fra i partiti, per non dire l’unanimità. Orbene, accanto a chi si è dichiarato favorevole ai referendum, da Fi a Iv, dal Carroccio ad Azione a settori del centro-sinistra, altri hanno dimostrato scarsa attenzione.

Nel centro-destra Giorgia Meloni si è estraniata da due referendum, ossia Severino e custodia cautelare, e sugli altri si è ben guardata dall’impegnarsi: sono temi voluti da un diretto concorrente, quale Matteo Salvini. Proprio il Capitano è parso di recente ostico a prendere partito vibrante sui referendum: a che gli servirebbe muoversi, se poi la partecipazione fosse insufficiente? Meglio per lui impegnarsi nelle elezioni comunali, visto il regresso che i sondaggi segnalano per il Carroccio dal giorno in cui per sua sventura abbandonò l’esecutivo.

Si prospetta un’altra considerazione. Le Camere potrebbero approvare la riforma della giustizia che prende nome dalla ministra Marta Cartabia e quindi adottare modifiche legislative che renderebbero inammissibile il ricorso alle urne referendarie. Non basterebbe, tuttavia, qualche previsione di legge delega, perché sarebbe indispensabile uno specifico articolato con immediata entrata in vigore. Tutto è possibile, tant’è che il democratico Walter Verini ha fatto riferimento a tre referendum di matrice leghista che potrebbero essere annullati per interventi parlamentari.

Si noti come, tolto un pugno di addetti ai lavori, di tali consultazioni poco si parli: la scarsa conoscenza e peggio ancora l’ignoranza non favoriscono la presenza alle urne. Potrebbe finire che a votare vadano essenzialmente quanti devono rinnovare sindaco e consiglio comunale. Siccome l’astensionismo è elevato, addirittura per istituzioni vicine ai cittadini come queste, i referendum riceverebbero scarso sostegno dalle contemporanee votazioni amministrative.

Si è più volte affermato che l’esclusione, da parte della Corte costituzionale, di referendum più appetibili, come la responsabilità dei magistrati e soprattutto la cannabis e l’eutanasia (per usare il termine corrente, che la Consulta ha respinto), abbia limitato ancor più il referendario. Come più volte è occorso, un argomento di forte presa oggetto di un referendum favorisce una maggior presenza pure su altre consultazioni referendarie di minor richiamo popolare.