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di Daniele Zaccaria

Il Dubbio, 11 luglio 2023

Una trama occulta degli Emirati per diffamare il Qatar e una lista “fake” di lobbisti all’origine dello “scandalo”. La geopolitica del mondo arabo è materia assai complessa, in particolare quella della penisola arabica, segnata da fitte trame di interessi, conflitti incrociati e soprattutto alimentati dalle smisurate ambizioni delle petromonarchie e dell’altrettanto smisurata voglia di allargare la loro sfera di influenza. Guerre sotterranee combattute a colpi di miliardi di dollari attinti dalle inesauribili riserve dei fondi sovrani e con i metodi “sporchi” e spregiudicati dei servizi di intelligence.

In questo grumo sta emergendo uno scenario che ha dell’incredibile, una manovra di killeraggio mediatico che, partendo dal Golfo è arrivata fino alle istituzioni e alle procure europee e che potrebbe aver partorito persino la celebre inchiesta del Qatargate. La vicenda è stata rivelata da alcune testate europee legate al Consorzio giornalistico Eic, dal belga Le Soir a Domani, passando per il sito investigativo francese Mediapart: dopo un lungo lavoro d’inchiesta hanno definito i contorni di una scellerata opera di diffamazione di massa.

Tutto partirebbe dagli emirati Arabi e dalla loro violenta rivalità con i vicini del Qatar. E dire che lo scorso 19 giugno i due Paesi avevano riallacciato le relazioni diplomatiche dopo sette anni di gelo riaprendo le ambasciate nelle rispettive capitali. Un riavvicinamento tattico che non cancella la reciproca diffidenza, le manovre segrete e la volontà di disturbarsi, di ostacolarsi. All’epoca dei fatti gli 007 di Abu Dabi volevano colpire Doha, al cuore, azzopparne l’ ascesa e il credito di cui il potere qatariota gode nel vecchio continente.

Lo fanno appoggiandosi a una società di intelligence privata svizzera, la Alp service, sita in Rue de Montchoisy a Ginevra con lo scopo di individuare lobbisti pro- Qatar, reali, potenziali ma soprattutto immaginari. Un lavoretto pagato circa sei milioni di euro. Il suo fondatore si chiama Mario Brero, “esperto di rapporti confidenziali”, di nazionalità italo- svizzera è un personaggio talmente equivoco e così poco preoccupato di nasconderlo al grande pubblico da risultare addirittura simpatico. Anche se i suoi “servizi” di simpatico hanno ben poco. Negli ultimi anni il nome di questo diffamatore seriale con la sua factory di hacker ed ex agenti di cybersicurezza poliglotta e la sua rete di contatti che vanno dall’Africa ai Balcani, dall’Europa occidentale all’Asia centrale passando per la Russia, è spuntato in decine di vicende dai contorni più o meno oscuri.

Tra queste c’è il dossier “Abu Dabi Secrets” che sarebbe una lista di 160 persone e 80 organizzazioni accusati di sostenere la causa del movimento islamista egiziano Fratelli Musulmani, storicamente legato al Qatar accusato dai Emirati e dai sauditi di diffondere propaganda islamista tramite il noto network Al Jazira.

Ma come emerso dall’inchiesta del Consorzio Eic le persone sono state citate spesso a caso, al di là di un filo logico o senza che avessero alcun legame, neanche alla lontana con Doha o con i militanti islamisti. Una opera di calunnia collettiva tanto feroce quanto rozza, all’immagine della biografia di Brero.

Ci sono giornalisti, imam, professori universitari, ma anche personalità politiche di rilievo come la ministra dell’ambiente belga Zakia Khattabi indicata come vice presidente dell’Esecutivo dei musulmani del Belgio, carica che non ha mai occupato. “Sono notizie del tutto infondate e molto inquietanti”, è stato il suo commento. Chissà con quale spirito-Khattabi parteciperà alla conferenza COP 28 sui cambiamenti climatici che si terrà questo inverno proprio negli Emirati arabi, i principali responsabili del killeraggio mediatico. In ogni caso venerdì scorso l’ambasciatore di Abu Dabi a Bruxelles è stato convocato al ministero degli Esteri belga per chiarimenti.

Nella lista compilata dagli spioni di Brero, guarda un po, figurano anche i nomi dei tre principali accusati del Qatargate: l’europarlamentare belga Marc Tarabella, l’ex vicepresidente dell’europarlamento Eva Kaili e l’ex sindacalista e lobbista Antonio Panzeri. E a questo punto una domanda sorge spontanea: come è possibile che le conclusioni a cui era giunta la procura di Bruxellese e l’allora titolare dell’inchiesta Michel Claise siano le stesse di Alp service, dell’intelligence emiratina e degli stessi servizi segreti di Bruxelles? Sembra quasi che gli 007, come dei burattinai, abbiano “apparecchiato” una sceneggiatura fantasy sul tavolo del procuratore Claise sicuri che il magistrato avrebbe fatto il lavoro al loro posto. E vai a vedere che, alla fine, l’unico reato del Qatargate non sarà il Qatargate stesso.