di Anna Pozzi
Avvenire, 31 maggio 2020
Inizia domani la presentazione delle istanze per la regolarizzazione dei migranti e l'emersione del lavoro nero. Si andrà avanti poi sino al 15 luglio - come previsto dall'articolo 103 del decreto Rilancio una finestra entro la quale i datori di lavoro possono regolarizzare una situazione lavorativa irregolare (sia con cittadini italiani che con cittadini stranieri), mentre gli stranieri possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi.
"Si tratta di una risposta significativa alle istanze provenienti dalle istituzioni e dalla società civile, seppure con alcuni limiti sostanziali" sostiene il dottor David Mancini, magistrato della Dda dell'Aquila, esperto di tratta, sfruttamento e criminalità organizzata.
Perché questo provvedimento è così importante?
È la prima occasione in cui si accomuna, simbolicamente prima ancora che nei fatti, sotto il concetto di "emersione" dei lavoratori "invisibili" sia i migranti irregolari che gli italiani, gli uni e gli altri ugualmente sfruttati. E questo ha un valore straordinario rispetto alla mera "sanatoria" di migranti irregolari.
E tuttavia riguarda solo alcune categorie di lavoratori, sostanzialmente quelli agricoli e badanti e colf. Non è questo un limite grave?
È un vulnus della norma, una limitazione irragionevole e iniqua. È vero che i lavoratori stranieri stagionali in agricoltura sono le principali vittime di sfruttamento, spesso anche a causa della loro condizione giuridica. Lo stesso vale sovente per chi lavora nell'ambito dei servizi alla persona. Questa istanza però risponde innanzitutto a esigenze economico-produttive e all'interesse dei cittadini di veder soddisfatti alcuni loro bisogni, ma non presta la dovuta attenzione al tema più ampio e complesso dei diritti delle persone e del rispetto della dignità umana.
Insomma, pur partendo da un'esigenza di sanità pubblica, questa normativa sembrerebbe rispondere essenzialmente a un interesse di tipo economico-produttivo...
Infatti. La premessa riguarda l'emergenza coronavirus e la tutela della salute anche di persone che vivono in condizioni di precarietà e irregolarità. L'emersione dall'invisibilità è fondamentale anche per garantire una migliore tutela della salute personale e collettiva. Ma questo non può essere fatto solo attraverso la regolarizzazione della loro posizione lavorativa, se poi li si lascia vivere in ghetti insalubri e non si favoriscono reali processi di integrazione.
Un altro limite in questo senso non potrebbe essere la temporaneità del permesso di soggiorno per gli stranieri?
Questo aspetto mal si concilia con l'affermazione dei diritti fondamentali e con la loro generale valenza, ma anche con le esigenze sanitarie più ampie. O con la possibilità, ad esempio, di trovare un impiego in altri settori non previsti dalla normativa.
Il lavoro nero si traduce talvolta anche in situazioni di assoggettamento e privazione dei diritti fondamentali come la tratta...
Parliamo di persone che spesso si trovano in situazioni di grande vulnerabilità. È importante mettere in evidenza la sproporzione delle forze nel mondo del lavoro, dove c'è chi sfrutta e chi è sfruttato, chi abusa del proprio potere e chi è privato dei diritti più elementari, sino a pervenire a forme di asservimento ricadenti appunto nel fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo. Certamente dovranno essere garantiti i controlli per evitare tutti i possibili abusi.
Vede il rischio che le organizzazioni criminali ne traggano qualche vantaggio?
Il rischio esiste e anche il procuratore nazionale antimafia lo ha ribadito recentemente. Alle vulnerabilità già esistenti, infatti, se ne potrebbero assommare altre o potrebbero emergere nuovi interessi, con pratiche che sembrano rispondere alla legalità, ma di fatto la aggirano. L'articolo 103 del decreto Rilancio è un'iniziativa importante, ma non risolve il problema del contrasto alla criminalità organizzata. Del resto, è un tassello di un mosaico più complesso in cui dovrebbero combaciare molte altre tesserine.