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di Nadia Somma*

Il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2023

La superficialità con la quale nel nostro Paese si affronta il tema della violenza maschile contro le donne è disarmante e ostacola qualunque procedura, protocollo, intervento a tutela delle vittime. Il 20 luglio scorso, Maurizio Impellizzeri ha assassinato Mariella Marino. Le ha sparato in strada. Aveva ottenuto la sospensione della pena dopo aver accettato di intraprendere un percorso in un Cuav - Centro per uomini autori di violenza. Il 9 novembre del 2021, a Reggio Emilia, Mirko Genco uccise Juana Cecilia Hazana Loazya: era stato in percorso in un Cuav. L’8 giugno 2022, a Vicenza, Zlatan Vasiljevic, dopo aver fatto un percorso in un Cuav, uccise Lidia Miljkovic e Gabriella Serrano. Finì suicida sulla Valdastico dopo aver lanciato due granate che per fortuna non fecero altre vittime.

Sono almeno quattro, fino ad oggi, le donne assassinate da uomini che avevano intrapreso un percorso in un Cuav. È evidente che la frequentazione di un Centro per uomini autori di violenza non previene automaticamente un innalzamento del livello di pericolosità degli autori di stalking o maltrattamenti e tantomeno può tutelare, automaticamente, la vita delle donne. Eppure i Cuav sono diventati la panacea di tutti i mali. La realtà è molto meno idilliaca.

Una delle criticità riguarda le metodologie di intervento e gli approcci al problema della violenza che sono diverse tra i Cuav fino al punto che, alcuni lungi dall’essere luoghi di assunzione di responsabilità per le violenze commesse, sono diventati luoghi di sostegno per autori di violenza. Ci sono Cuav che rilasciano relazioni positive sulle capacità genitoriali di uomini maltrattanti e altri che si prodigano affinché gli uomini in percorso possano vedere i figli anche se le ex sono in protezione in una Casa Rifugio.

È venuto il momento di rivedere questi percorsi. Ci sono donne che raccontano di continuare a subire vessazioni dagli ex, soprattutto di tipo psicologico e manipolativo, anche dopo la conclusione del percorso. Le prevaricazioni in alcuni casi (e sarebbe il caso di raccogliere dati e fare monitoraggi post percorso, a lungo termine) sono attuate col patentino della redenzione, soprattutto quando ci sono cause in corso per l’affidamento dei figli. Vediamo ancora che cosa non funziona.

I requisiti dei Cuav sono stati definiti, nel settembre del 2022, nel documento dell’Intesa Stato Regioni, anche se le associazi0ni dove gli autori di violenza possono fare percorsi finalizzati a interrompere comportamenti violenti esistono da almeno una quindicina di anni (sono nati come Cam - Centro Ascolto Uomini Maltrattanti). Oggi ve ne sono di pubblici e privati. Un’inchiesta approfondita sui limiti dell’Intesa è stata realizzata da Maddalena Robustelli, nell’articolo Dubbi sulla normativa prevista per i centri riabilitativi degli uomini maltrattanti pubblicato nel settembre del 2022 su Noi Donne.

L’associazione D.i.Re mette in evidenza da anni i limiti e le criticità dei Cam-Cuav, ma le critiche sono rimaste inascoltate dalle istituzioni. Il 21 luglio la rete nazionale dei Centri antiviolenza ha stigmatizzato quanto avvenuto a Enna col femminicidio di Mariella Marino, una morte che avrebbe potuto essere evitata qualora si fossero seguite le indicazioni della Convenzione di Istanbul e le raccomandazioni del Grevio. Anche la Cooperativa sociale Be Free, il 22 luglio, ha denunciato sulla sua pagina Facebook i rischi della sopravvalutazione dei percorsi nei Cuav.

*Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra