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Il Mattino di Padova, 5 gennaio 2015

 

La vecchia abitudine di fare buoni propositi per l'anno nuovo appartiene un po' a tutti. A noi piacerebbe però che fosse l'Amministrazione penitenziaria a fare una promessa per il 2015: ridurre al minimo i trasferimenti, non trincerarsi sempre dietro i motivi di sicurezza per giustificare gli spostamenti di persone detenute da un capo all'altro dell'Italia, senza nessuna preoccupazione per le loro famiglie, costrette a viaggi sfiancanti, costosi, per vedere i loro cari per poco tempo in sale colloqui squallide.

Il vocabolario definisce la deportazione come una "pena consistente nella relegazione del condannato in un luogo lontano dalla madrepatria, con privazione dei diritti civili e politici": ecco, certi trasferimenti assomigliano tanto a deportazioni, e privano i detenuti di tutto, anche del diritto a preservare i loro affetti. Quelle che seguono sono due testimonianze di detenuti che, dopo anni passati in carceri di massima sicurezza lontano dalle famiglie, sono arrivati a Padova, dove sono riusciti a ricostruire i legami spezzati e a dare un senso alla loro carcerazione, ma ora pare che chiuderanno la sezione di Alta Sicurezza, e chi vi è rinchiuso rischia di essere trasferito, magari in Sardegna, dove hanno costruito carceri in modo sconsiderato, e di perdere di nuovo quel po' di umanità che aveva ritrovato. È desolante che le persone detenute troppo spesso siano trattate come pacchi e spostate senza avere la minima possibilità di decidere qualcosa della loro vita. Come se la perdita della libertà significasse perdere anche la dignità propria di ogni essere umano.

 

Qualcuno vuole spezzarmi la catena del bene

 

Sono un detenuto con il fine pena 9999, mi chiamo Biagio Campailla, forse qualcuno avrà letto qualche mio articolo o mi avrà visto partecipare ai convegni organizzati dalla redazione di Ristretti Orizzonti o in occasione degli incontri fatti con centinaia di studenti nel progetto Scuole/Carcere.

In tante occasioni ho detto che ho contribuito con i miei reati a costruire la catena del male, e poi ho sentito persone come Agnese Moro, vittime di reati gravissimi, dire che la catena del male bisogna spezzarla, rifiutando un'idea di pena che al male risponde con altrettanto male.

Invece oggi dico che mi stanno spezzando la catena del bene. Il motivo? Circola la notizia che la sezione di Alta Sicurezza di Padova verrà chiusa. Le conseguenze? Saremo tutti trasferiti. È come se avessi ricevuto una coltellata al cuore.

Per prima cosa mi dico: "È finita di nuovo per me, cosa mi è servito fare un percorso di autentico cambiamento con la redazione?". Subito ho pensato che mi hanno preso tutti in giro, ci ho messo tutto il mio cuore e la mia anima per spezzare la catena del male.

Dagli incontri con gli studenti ho imparato un linguaggio diverso con cui parlare anche ai miei figli; in quegli incontri quasi quotidiani nella redazione di Ristretti il confronto con gli studenti mi ha fatto capire tante cose, io raccontavo la mia esperienza, quello che mi ha portato a giocarmi la vita murandomi dietro quattro mura, e cercavo di fare prevenzione verso questi ragazzi che mi avevano dato tanto e cambiato la vita.

Tutto questo molto probabilmente presto lo perderò, perché sarò trasferito in un altro carcere, dove si è rinchiusi senza possibilità di confronto con il mondo esterno, sicuramente sarò buttato in qualche carcere che io definisco "giungla", dove per andare avanti devi combattere tutti i giorni, dove le persone detenute nelle sezioni di Alta Sicurezza non hanno mai avuto una possibilità di reinserimento, una opportunità di ripensare alla loro storia e alle loro responsabilità, dove i pensieri e gli atteggiamenti restano fermi al periodo del reato.

Anche io fino a qualche anno fa ero così e vivevo così, sempre con gli artigli di fuori, attaccando subito alla prima provocazione. Oggi, dopo il percorso che ho iniziato nel carcere di Padova, io questi artigli non ce li ho più. E adesso? Vengo riportato nella stessa giungla senza artigli, almeno se me li lasciavano potevo ritornare violento e potevo difendermi. E invece no.

Ed ecco che quando ancora hai fiducia nelle istituzioni, rischi di nuovo di essere mangiato. Devo pensare che era meglio rimanere cattivo per sempre e andare avanti? Cosa è servito dopo tanti anni di lontananza, farmi ritrovare le mie figlie che oggi posso vedere molto più frequentemente, recuperando un po' d'amore che non avevano mai avuto da me, e perdere tutto di nuovo? Ne vale la pena, di fare un percorso dentro il carcere e poi rischiare di uscirne distrutto molto più facilmente? Allora dico: ho fatto di tutto per inserirmi, ma certe istituzioni non vogliono che io cambi davvero. Ancora una volta hanno spezzato la catena del bene, quel bene che mi avevano dato i ragazzi del progetto con le scuole, quel "cuore" che mi hanno fatto ritrovare nella redazione di Ristretti Orizzonti, rischia di andare tutto in fumo.

Ci sono tanti miei compagni che come me hanno fatto un percorso, chi con le scuole, chi è riuscito a laurearsi, chi ancora frequenta l'università, chi lavora in pasticceria, ora tutto rischia di andare perso. Dove andremo a finire adesso? a ritrovare quella violenza che credevamo di esserci lasciata dietro le spalle?

Mi chiedo: perché lo Stato ha investito su di noi per rieducarci, per poi farci tornare al punto di partenza? Perché ci considerano dei pacchi postali, sempre pronti ad essere spediti? qualcuno pensa al dolore che proveranno nuovamente le nostre famiglie? a cosa mi devo preparare?

Comunque non finirò mai di ringraziare tutti quei ragazzi che ho incontrato nel progetto con le scuole, che mi hanno trasmesso tantissime emozioni, da cui ho ricevuto pensieri positivi e propositivi e che hanno messo in moto un percorso che ora rischia di interrompersi.

 

Biagio Campailla

 

Trasferimenti che distruggono drammaticamente i legami famigliari

 

Dopo quasi otto anni trascorsi nella Casa di reclusione di Padova, molto probabilmente nei prossimi mesi sarò trasferito, poiché la sezione di Alta Sicurezza dove attualmente mi trovo sarà chiusa per motivi a me ignoti, che sicuramente riguardano delle convenienze ministeriali, ma che non rispettano per niente le vite delle persone.

Trovo infatti che questi trasferimenti avvengano senza tenere minimamente in considerazione i detenuti come esseri umani, né le famiglie che devono pellegrinare su e giù per l'Italia per andare a trovare il loro caro. E sono proprio queste condizioni di detenzione che spesso determinano molti allontanamenti fra i detenuti e le loro famiglie. Forse a quasi 50 anni sono ancora un po' ingenuo a non capire che queste lunghe distanze hanno proprio il fine di creare una vera e propria rottura con ogni affetto familiare. Ma insieme alla distruzione degli affetti, viene cestinato anche il percorso carcerario che un detenuto per anni svolge con impegno costante, cercando in tutti i modi di partecipare a quelle iniziative culturali e lavorative che sono così importanti per ricostruire la propria vita.

Questi comportamenti delle istituzioni determinano delusione e sfiducia e fanno perdere alle persone la voglia di intraprendere ulteriori percorsi carcerari in altri istituti di destinazione, dove dovrebbero ripartire da zero, magari dopo più di vent'anni di carcere alle spalle, con l'angoscia di sapere che poi questi percorsi saranno quasi sicuramente spazzati via dalla prossima, immotivata deportazione di massa. Perché di deportazione si tratta, non c'è niente di umano in questi trasferimenti, nessun rispetto, nessuna considerazione per la dignità delle persone.

 

Gaetano Fiandaca