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di Loredana Lipperini

L’Espresso, 1 ottobre 2023

Sui social (e non solo) la tendenza al populismo, alla chiusura delle frontiere, alla sete di giustizia esemplare dilaga. Ma l’oggetto dell’odio non sono numeri o fantasmi. Bensì umani dotati di un corpo. Alla fine del secolo scorso si parlava di smaterializzazione dei corpi in virtù della nascente tecnologia, ma si ragionava graziosamente in astratto: Internet era il mezzo che, sognava il filosofo Pierre Lévy, ci avrebbe resi simili agli angeli tessendo un’intelligenza collettiva che avrebbe accresciuto il nostro sapere e la nostra umanità. Potrebbe andare ancora così, perché siamo solo agli inizi del cambiamento, ma in questi giorni si ha la sensazione che ci sia poco di angelico nella nostra smemoratezza dei corpi. Di quelli degli altri, almeno, perché il nostro è monitorato, accudito, nutrito e curato laddove ci venga offerta la possibilità di farlo.

Per esempio: il 13 settembre scorso, quando seimila persone sbarcate a Lampedusa si accalcavano nell’hotspot, una mediatrice si è sfogata dicendo: “Sono stremata, ma non c’è neanche lo spazio per cadere a terra”. Immaginiamo, dunque: un luogo tutt’altro che piccolo dove si è stretti e accaldati e affamati e assetati e disperati e non si può neppure svenire. Perché ciò di cui dovremmo parlare quando si promettono centri per il rimpatrio (ancora più inadeguati degli hotspot a fronte della mutazione storica in corso) è questo: fame, sete, paura, caldo, freddo.

Che è quello che provano i possessori di corpi, i quali non sono fantasmi e non sono numeri. O personaggi di Dungeons & Dragons: il popolarissimo gioco di ruolo non viene evocato a caso, dal momento che non solo continua a essere assai amato e praticato, complice l’omaggio di serie televisive come “Stranger Things”, ma si è diffuso anche in carcere. Anzi, nel braccio della morte di Huntsville, Texas.

A fine agosto The New York Times ha dedicato un lungo reportage alla storia di due detenuti, Tony Ford e Billy Wardlow, entrambi condannati alla pena capitale per un crimine commesso a 18 anni. Ford era già un Dungeon Master, e sapeva disegnare mappe e personaggi, Wardlow non aveva mai giocato, ma si appassionò subito e inventò un personaggio che nei vent’anni successivi sarebbe diventato leggendario, Arthaxx d’Cannith. Ford e Wardlow sono stati condannati quando erano ragazzini e nessuno di loro avrebbe mai fatto l’esperienza del mondo adulto: sicuramente non Wardlow, che è stato giustiziato nell’estate del 2020, dopo aver immaginato per il suo Arthaxx un’avventura senza via di scampo. E quando pensiamo che è civile e compassionevole permettere di giocare di ruolo nel braccio della morte, ci si dimentica la barbarie della legge che consente di uccidere, non solo negli Stati Uniti (883 esecuzioni in 20 Stati nel mondo nel 2022, dice Amnesty International, con un aumento del 53 per cento rispetto al 2021).

La cosa preziosa che dovrebbe far capire che quelle cifre sono esseri umani è un bellissimo romanzo di Michael Bible, “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra”, appena pubblicato da Adelphi nella traduzione di Martina Testa. Anche qui c’è un corpo, quello del ragazzo Iggy che consuma l’ultima cena nel braccio della morte, panino con pullet pork e birra ghiacciata, e guarda l’albero del corniolo che, lontano, perde l’ultima fioritura, sapendo che non ne vedrà mai più un’altra. È quel che fa tornare uomo, o donna, un numero, come dovremmo fare tutti, prima di urlare “pena di morte” o “rimandateli a casa loro” su un social, o in una dichiarazione ufficiale.