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di Enrico Grosso*

Il Dubbio, 24 novembre 2022

La Corte costituzionale parla solo attraverso le sue sentenze, si diceva una volta. Oggi i mezzi di comunicazione di cui si serve sono assai più potenti e numerosi. Anche l’interlocutore non è lo stesso. Attraverso le sentenze si parla essenzialmente ai giudici, ai giuristi, agli operatori del diritto. Agli addetti ai lavori, insomma. Oggi la Corte aspira a parlare a tutti, a informare i cittadini della propria attività, a coinvolgerli addirittura nel processo decisionale, a riceverne in cambio sentimenti di vicinanza e fiducia.

Non è solo questione di trasparenza e più facile accesso ai propri atti. È questione di consenso. La Corte non crede più che la conoscenza e la diffusione della legalità costituzionale nella vita concreta della società, e il consenso che da ciò può derivare all’istituzione che più di tutte è chiamata a difenderla, possano essere efficacemente trasmesse facendo affidamento solo sulle motivazioni delle proprie decisioni. E quindi “esce dal palazzo” e si sforza di porsi direttamente in sintonia con l’opinione pubblica. Promuove “viaggi” (nelle scuole, nelle carceri …). Realizza e pubblica online podcast nei quali i giudici costituzionali interloquiscono con intellettuali delle più varie discipline su temi di rilevanza pubblica, o illustrano “le sentenze che ci hanno cambiato la vita”.

Apre l’aula di udienza ai soggetti portatori di interessi collettivi (i c. d. “amici curiae”), i quali sono chiamati a esporre le proprie ragioni in merito alle singole questioni in discussione I presidenti, che un tempo - tutt’al più - si “concedevano” una volta all’anno nella rituale conferenza stampa, oggi godono di una vasta e regolare esposizione (e talvolta sovra- esposizione) mediatica, rilasciano interviste, accettano volentieri di essere ospiti negli studi televisivi, offrono in presa diretta spiegazioni (interpretazioni autentiche?) delle decisioni assunte. La pubblicazione delle sentenze è ormai costantemente preceduta dalla diffusione di comunicati stampa che ne spiegano in anteprima i passaggi salienti, semplificando il messaggio e aspirando a renderlo “comprensibile” anche al grande pubblico, quello digiuno di nozioni tecniche. Anche al costo di una certa spettacolarizzazione e di qualche titolo sopra le righe.

È un cambio di paradigma. Il ruolo, oltre che l’immagine, della Corte, ne risulta inevitabilmente trasformato, se non trasfigurato. Sulla genesi, sulle forme e soprattutto sulle finalità di questa trasformazione si interrogheranno, in confronto tra loro, studiosi di diritto costituzionale, giudici della Corte, giornalisti, in un seminario promosso dalla rivista Quaderni Costituzionali, insieme all’editore Il Mulino, che si terrà a Bologna venerdì 25 novembre. I lavori potranno essere seguiti in diretta streaming audio- video sul canale digitale di Radio Radicale.

Quale esigenza muove la Corte a esporsi mediaticamente come mai è successo nel passato? Quali finalità si propone nell’enfatizzare la propria attività comunicativa individuando nell’opinione pubblica un interlocutore necessario, se non privilegiato? Perché tale urgenza, che non si avvertiva nel passato, è esplosa negli ultimi anni? E soprattutto: quali mutamenti è destinato a produrre questo nuovo modo di essere dei rapporti tra Corte e cittadini rispetto al ruolo e della giustizia costituzionale?

Particolarmente utile il confronto tra i costituzionalisti (la “dottrina”, come un po’ pomposamente si autodefiniscono gli studiosi di diritto), i giudici costituzionali e gli operatori dell’informazione. I primi, infatti (pur con le dovute distinzioni e sfumature di sensibilità), hanno assistito a questo cambio di paradigma con un misto di perplessità, scetticismo e punte di sbigottimento.

I secondi ne hanno (con le medesime differenziazioni) sostanzialmente promosso e assecondato le linee di sviluppo. I terzi ne hanno quasi unanimemente lodato le prassi applicative e i risultati pratici. Finora è mancata una riflessione comune sulle ragioni che lo hanno determinato, e soprattutto sulle implicazioni e sulle conseguenze istituzionali e costituzionali che esso comporta. Non si tratta soltanto di porre in sintonia la Corte con la realtà della “società dell’informazione”. Quando “parlava solo attraverso le sentenze” la società dell’informazione già esisteva, e tale esigenza non era sentita. Cos’è cambiato? Il sospetto, che traspare dalle voci critiche di alcuni, è che sarebbe sempre più arduo giustificare in termini puramente giuridici le sue scelte.

Il giudice costituzionale è “sotto osservazione”. La politicità intrinseca delle sue decisioni lo mette continuamente a confronto con la competizione politica che - sui medesimi temi - si svolge quotidianamente fuori dal Palazzo della Consulta. Ciò comporta una serie di preoccupazioni supplementari, di cui egli ha sempre maggiore consapevolezza. La tentazione può dunque essere quella di instaurare con i cittadini un rapporto diretto e “alternativo” rispetto a quello proprio delle istituzioni politico- rappresentative, che in passato si riteneva radicalmente alieno a ogni giurisdizione (a fortiori quella costituzionale).

È questa la vera ragione della sempre più spasmodica ricerca non solo di una maggiore “visibilità”, ma anche di una più compiuta e vasta “comprensione” (nell’auspicio della conquista di una vera e propria “approvazione”) delle proprie scelte giudiziarie? Solo da un confronto schietto e sincero, privo di censure e ipocrisie, tra gli attori e gli osservatori del processo costituzionale, potranno emergere le ragioni, i torti, le giustificazioni e gli eventuali eccessi di una stagione della giustizia costituzionale che, in ogni caso, non pare destinata ad esaurirsi.

*Ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Torino