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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 30 maggio 2023

Chiara Colosimo di FdI, neopresidente della commissione Antimafia, è ferocemente attaccata per una visita a una cooperativa gestita da un ex militante dei Nar. L’attacco preventivo nei confronti della deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, neo presidente della commissione parlamentare Antimafia, desta stupore.

Come ha ricordato Daniele Zaccaria su queste pagine, il motivo è la foto riportata da Report in cui si vedeva insieme a Luigi Ciavardini, ex militante dei Nar, condannato per due omicidi e per la strage alla stazione di Bologna (su quest’ultimo fatto continua a professarsi innocente). La grave colpa è di aver visitato la cooperativa da lui gestita, che si occupa del recupero dei detenuti. Sarebbe dovuto essere, soprattutto per la sinistra, un esempio virtuoso. Anzi, sarebbe stato un motivo in più per esortare la deputata a continuare a occuparsi dei detenuti e delle condizioni disastrate del nostro sistema penitenziario. E invece parte l’accostamento della deputata Colosimo al terrorismo nero.

Eppure, per fortuna, non ci fu una levata di scudi nei confronti della grande Tina Anselmi, conosciuta soprattutto per essere stata presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla P2. Lei non solo conosceva l’allora terrorista nero Giovanni Ventura perché compaesano e amico di famiglia, ma lo difese dall’accusa di aver ordito la strage di Piazza Fontana. Ma erano altri tempi, in quel contesto storico la politica - tranne una paradossale eccezione che indicheremo più avanti - non era contaminata dal feroce giustizialismo e soprattutto non era affetta dalla peggior dietrologia della Storia repubblicana. Prima la paranoia politica era componente principale dei totalitarismi. Nessuno, e ci mancherebbe, ha osato dire che Tina Anselmi era stata messa a presiedere la commissione per dare seguito a una strategia ordita dal “Deep State”. Definizione molto in voga tra taluni parlamentari grillini (e forse a breve anche piddini) cavalcata dai QAnon americani, gli esaltati complottisti che si sono poi vestiti da Unni e hanno assaltato il Campidoglio americano.

Tina Anselmi, ricordiamo, è stata una donna schietta, simpatica, rassicurante, ma anche rigorosa, battagliera, appassionata, a volte pungente e ironica, materna e femminista allo stesso tempo; una personalità politica atipica, sempre attenta ad anteporre l’interesse collettivo a quello personale o di partito. Una cattolica convinta e coerente, ma non integralista. E soprattutto aveva il difetto di essere anche garantista. E lo era persino nei confronti di un terrorista della destra eversiva come Giovanni Ventura. Ma ora viene il bello. Chi tentò di fare polemica sull’amicizia tra Tina Anselmi e l’ordinovista Giovanni Ventura? L’allora deputato Beppe Niccolai del Movimento Sociale Italiano. Incredibile, ma vero.

Fu proprio lui dell’Msi a rendere pubblica una corrispondenza tra Tina Anselmi e l’allora ministro Silvio Gava, dove sostanzialmente chiedeva aiuto per Ventura. Leggiamola nella sua interezza: “Caro Silvio, grazie dei tuoi auguri che ricambio a te, a Flora, alle piccole e a mamma. Con l’anno nuovo spero di maltrattare meno gli amici e di poter avere la gioia di passare qualche ora con voi. L’amico che ti porta questa mia è il dottor Giovanni Ventura di Castelfranco. È stato coinvolto per colpa di un democristiano, ex- seminarista, con la vocazione di giustiziere, con gli attentati di Milano. La polizia e la magistratura l’hanno completamente scagionato, come per me fu chiaro fin dall’inizio per quanto conosco di lui e della sua famiglia. Purtroppo quel tipo di pubblicità non gli ha giovato e ora ha qualche problema: se puoi aiutarlo, te ne sarò grata: mi sento un po’ colpevole, come democristiana, del male che gli hanno fatto. Grazie, arrivederci a presto e tanti saluti cordiali anche per i tuoi. Tina”.

Immaginiamo se una lettera del genere fosse stata scritta da Chiara Colosimo per aiutare Luigi Ciavardini che, messo a confronto con Ventura, appare come una educanda del ‘700. Sarebbe scoppiata una rivoluzione civile. Ricordiamo che Giovanni Ventura, a differenza dei Nar che erano un gruppo spontaneista e fino a prova contraria - senza alcun legame con i servizi segreti o altro, faceva parte della destra eversiva di Ordine Nuovo (da non confondersi con l’omonimo creato da Pino Rauti, anche se si gioca tuttora a fare confusione) e secondo il giudice Guido Salvini, che all’epoca si occupò della strage di Piazza Fontana, avrebbe ricoperto un ruolo cruciale. Ventura avrebbe mantenuto i rapporti con Guido Giannettini, il giornalista legato al Sid, i servizi segreti di allora. Nel 1973 Ventura inizia a parlare e Giannettini avrebbe cercato di farlo fuggire dal carcere, su ordine diretto del Sid. Lui però, in quell’occasione, evita di farlo: temeva che in realtà volessero farlo uscire per ucciderlo.

Per la strage di Piazza Fontana ci fu un percorso giudiziario travagliato. Nel 1979 il tribunale di Catanzaro condanna all’ergastolo Franco Freda, Ventura e Giannettini, tutti e tre fuggiti all’estero prima della pena; l’anarchico Pietro Valpreda viene assolto per la strage (come sappiamo messo in mezzo innocentemente a causa di un evidente depistaggio) ma condannato a quattro anni e mezzo per associazione eversiva.

Nel 1981 Freda e Ventura vengono assolti in secondo grado, ma condannati a 15 anni per (altri) attentati compiuti a Padova e Milano. Il tribunale conferma la condanna di Valpreda e assolve Giannettini. Nel 1982, la Corte di Cassazione annulla la sentenza di secondo grado sulla strage di Piazza Fontana e rinvia il processo a Bari, confermando solo l’assoluzione di Giannettini. La Corte d’Assise d’Appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda. La Cassazione renderà poi definitiva la sentenza nel 1987, confermando comunque la condanna di Freda e Ventura per gli attentati commessi fra la primavera e l’estate del 1969.

Si comprende benissimo quanto sia assurdo e strumentale aver ferocemente attaccato Chiara Colosimo. Lei, come Tina Anselmi, non può essere accostata nemmeno lontanamente al terrorismo o allo stragismo. Sia per questioni anagrafiche, sia - come nel caso di Anselmi - per una questione politica che è lontana anni luce dall’eversione. Fratelli d’Italia è erede dell’allora Msi, che ovviamente non aveva nulla a che fare con la strategia della tensione e il terrorismo. È come se dovessimo accostare l’allora Partito Comunista alle Brigate Rosse. Erano nemici. Così come le forze extraparlamentari nere erano nemiche del Movimento Sociale Italiano. D’altronde, lo stesso Paolo Borsellino, roba nota, simpatizzava per l’Msi. Era molto amico di Francesco Grisi, di Giuseppe Tricoli, storico rappresentante della Fuan e più volte deputato regionale eletto nel Msi, di Tommaso Romano.

Ma è chiaro l’attacco preventivo. Si crea così un ricatto morale: se Colosimo non si occupa dei neofascisti che avrebbero partecipato alle stragi mafiose, allora è la dimostrazione che è stata messa lì appositamente. Di nuovo siamo alla dietrologia funzionale a ben altro. Tralasciando il fatto che è completamente fuorviante pensare che la mafia sia stata in qualche modo eterodiretta dall’eversione nera (sono suggestioni fuori dal mondo per chi conosce soprattutto la mafia corleonese), la commissione Antimafia dovrebbe invece scavare nelle carte, analizzare i fatti, magari far tirare fuori le 39 annotazioni di Falcone situate probabilmente in qualche faldone della procura nissena e magari pretendere che fine abbia fatto il pc e gli eventuali documenti requisiti dalla polizia giudiziaria dall’ufficio di Borsellino. Magari ripercorrere ogni passo che Borsellino fece durante la sua Via Crucis che si conclude con il suo annientamento. La commissione Antimafia non deve continuare con le fantasie giudiziarie. Non deve riscrivere la Storia, casomai approfondirla. Chiaro che se lo fa, la massacreranno. In tal caso avrà la forza di resistere, al costo di essere impopolare?