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di Antonio Nastasio*

bergamonews.it, 4 settembre 2023

Dal 2013 i vari Guardasigilli si sono scontrati con l’idea di trasformare le ex caserme in centri di detenzione, carceri, sollevando questioni sull’etica e l’efficacia di tale pratica, non sottovalutando il costo per l’adeguamento; tuttavia, ciò solleva interrogativi sul ruolo che queste potrebbero svolgere all’interno della società, per un cambio di finalità molto diverso da quelle per cui furono costruite. Il recente diniego formulato all’attuale Guardasigilli, ha suscitato particolare scalpore in quanto è apparsa come un’azione diversiva e propagandistica che non troverebbe realizzazione, ma non è così.

L’errore di metodo fondamentale, sembra risiedere nella tendenza a etichettare queste nuove strutture come “carceri aggiuntive” o “carceri bis”, che perpetuerebbero il modello tradizionale di detenzione. Al contrario si dovrebbe adottare una prospettiva più ampia, considerando le caserme trasformate come spazi di riabilitazione, con un approccio cooperativo che potrebbe garantire un processo di riabilitazione più efficace, mirando a ridurre la ricorrenza di comportamenti criminali. Di fatto anziché compiere un’operazione di giustizia sociale verso i più abbandonati dalla società e dal contesto di accoglienza trovando una collocazione non carceraria, li si punisce ulteriormente garantendo un posto detentivo.

Ricordo che Ordinamento Penitenziario, parla uno che era presente nel periodo di definizione e promulgazione della legge, ha nell’ offerta di servizi e nella territorializzazione della pena, i suoi capisaldi, capisaldi che sembrano oggi essere caduti nel dimenticatoio: non serve etichettare lo stesso Ordinamento come obsoleto e da riscrivere, a mio avviso è solo da attuare, dato che non lo è stato e sarebbe interessante conoscere i motivi.

Su questi due punti fondanti, offerta di servizi e territorializzazione della pena, si fonda un mio progetto del 2008 (Casa Giustizia) presentato all’Amministrazione Penitenziaria, ritenuto non recepibile in quanto da completare. Il mio progetto prevedeva, l’uso delle caserme e altre strutture in disuso non vetuste, sia del pubblico che del privato, come ex scuole, ex ospedali civili e militari, per attuare una esecuzione penale non detentiva, per soggetti poveri sia di risorse sociali che personali.

Il vero potenziale di questi luoghi dello Stato, potrebbe risiede proprio nella possibilità di coniugare questi spazi con l’offerta di servizi completi, amministrati in collaborazione tra Enti Locali e Organizzazioni del Privato Sociale. Il vero atto innovativo, starebbe dunque nell’avvio di un Terzo Polo Custodialistico (Territorio e Carcere), che va ad interrompe ogni rapporto col carcerario, in quanto si rivolge alle Autorità Locali e al Privato sociale nella gestione delle caserme rinnovate. Questa nuova destinazione potrebbe aprire la strada a un modello penitenziario, nuovo anche in Europa, in quanto centrato sulla riabilitazione e reintegrazione, meno sulla custodialità, con un approccio che terrebbe maggiormente conto dei detenuti in misura alternativa, quindi con nessun vincolo col carcere, che in questi luoghi trasformati in centri di supporto sociale, potrebbero avere aperta la strada ad una maggiore inclusione e reintegrazione nella società.

Nel riproporre il mio progetto del 2008, chiedo al Signor Guardasigilli di non arrestarsi nella sua proposta di utilizzare le caserme e gli Ospedali militati dismessi; occorre la consapevolezza di impegnarsi per tutta la popolazione carceraria che non ha bisogno di carcere, ma che è li perché non sa dove andare, quasi ospite non pagante in quanto non ha i mezzi per uscire.

Certo, rimane per la società un costo alto, ma la stessa percezione del pubblico, a conoscenza di questi fatti, assumerebbe un atteggiamento diverso, che non è quello di liberare le carceri ma di trasferire i detenuti poveri e con poche risorse in contesti di aiuti a costo inferiore e con una resa in positivo se, alla fine, li si trova lavoratori e non delinquenti, e si sa che i delinquenti allo Stato costano e non poco.

Una visione trattamentale e umana, più vicina ai diritti non dati, cambia, per le nuove funzioni, le prospettive di utilizzo, nel richiedere le caserme e altre strutture dismesse e si potrebbe ottenere quel consenso fino ad ora negato. Analogo discorso è anche per tutti gli ospedali civile e militari dismessi per i detenuti malati dove il carcere il luogo preposto alla espiazione della pena e non di altre sofferenze accessorie come il morire senza la presenza di familiari venga a cessare. In conclusione, il dibattito sull’utilizzo delle caserme e strutture similari come potenziali carceri, rappresenta una sfida complessa che va oltre la mera questione dell’edilizia. La ristrutturazione di queste strutture richiede un approccio innovativo, che metta in primo piano la riabilitazione e la reintegrazione dei detenuti nella società. È giunto il momento di superare il vecchio modello e adottare una visione più conferme ai tempi e orientata al nuovo e utile come la giustizia Riparativa, modalità diversa e opposta al tradizionale e mero contenere non solo per il bene dei detenuti, ma per tutta l’Organizzazione penitenziaria e di tutta la società.

Al Sig. Guardasigilli mando una dichiarazione positiva, convinta in quanto giusta, sulla sua proposta fatta nelle Carceri di Torino, affinché prosegua nella sua proposta, dando a queste strutture un nuovo volto che non è quello del carcere ma del rientro nel contesto sociale. Le ricordo i primi anni 80 quando eravamo in pochi, Lei compreso, a ribadire l’importanza delle Comunità per tossicodipendenti, non solo per curarsi ma per espiare una pena, per rientrare, a fine periodo nella società. Oggi appare facile a dirlo ma allora non era proprio così. Quello che le chiedo è di replicare quell’esperienza con i dovuti adeguamenti, essendo persone che cercano di liberarsi

dalla dipendenza della criminalità. Alle varie autorità del contesto dell’Ente Locale e del Privato Sociale formulo ogni considerazione positiva, nell’affiancare il Sig Guardasigilli nel definire questo progetto, nuovo e credo unico in Europa, che si estranea dal carcere per rendere i detenuti coinvolgibili soggetti attivi e promotori di questa iniziativa, che non allungherebbe ulteriormente un’attesa, quella mia, di 20 anni.

*Ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza